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In viaggio. Guida 2018 all'isola di Salina: capperi, Malvasia e la pizza di Franco Manca

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Un boutique hotel di lusso con un ristorante d’eccezione, un evento imperdibile all’insegna della sinergia fra maestri panificatori e chef, organizzato dall’ideatore della celebre catena di pizzerie italiane in Inghilterra Franco Manca. E poi capperi, malvasia e tanti produttori da scoprire. Reportage di un viaggio indimenticabile a Salina. 

 

La sabbia scura, il vento battente, le tartarughe, i vulcani, le vigne. Le isole della Sicilia sono una riserva di panorami mozzafiato e tesori a cielo aperto, custodi di materie prime straordinarie e tradizioni gastronomiche che uniscono terra e mare. Salina, per esempio, incarna alla perfezione lo spirito della dieta mediterranea, fra distese di vigneti, capperi e tanto buon pesce fresco di giornata.

 

Signum hotel

Signum Hotel, Salina

Signum: un’oasi di pace immersa nella natura

È la più verde delle Eolie, dove la fitta vegetazione con tutti i colori della macchia mediterranea si staglia a capofitto sul mare blu cristallino, incastonata fra rocce e scogli che ne delineano il perimetro. Un luogo dove ritrovare ritmi lenti e rilassati, immersi fra le bellezze delle ceramiche antiche dipinte a mano e quelle paesaggistiche: per godere a pieno di suoni, profumi e sapori del territorio, non esiste uno spazio migliore del Signum, l’albergo di lusso di Malfa, in cima all’isola, da dove ammirare alcuni dei tramonti più belli dalla splendida terrazza che guarda Stromboli e Panarea. È la creatura della famiglia Caruso, protagonista di un cambio di generazione che riempie di entusiasmo: Luca (patron di casa) e Martina (in cucina) affiancano i genitori nella conduzione di questa struttura d’eccellenza, elegante nella semplicità dei materiali, tutta pietra, pareti in calce e porcellane, e raffinato nell’accoglienza sincera del personale, così familiare da far quasi dimenticare i tanti investimenti fatti per la costruzione di questo tempio del benessere.

 

Signum

Signum Hotel

Una Spa straordinaria, in grado di sorprendere anche il più esigente degli ospiti, camere, suite e dependance dislocate armoniosamente lungo il percorso, arredate con cura e circondate da bouganville e piante grasse, la terrazza dove gustare un cocktail beandosi del panorama all’orizzonte, una cantina di livello, un orto, un forno a legna per eventi e feste private.

 

Martina Caruso

Martina Caruso

La chef

Ma soprattutto, un ristorante sempre più valido, con una cucina che continua a imporsi per intensità, ricerca ed eleganza. Quella di Martina Caruso, cuoca dalla mano sicura, creatrice di piatti schietti ma sofisticati, che nascono dal mare e che si ispirano agli aromi mediterranei che permeano l’intera isola, ma che comprendono anche carni, verdure e altri prodotti tipici del luogo, capperi in primis, elaborati con ritmo puntuale e ben ponderato.

 

Ristorante Signum

Ristorante Signum

A cominciare dalla colazione (preparata ancora con amore dal papà, che si diletta fra saporite torte all’arancia e frittate ripiene), per passare alle proposte sfiziose dell’aperitivo e finire con i menu del pranzo e della cena, studiati con intelligenza. Una cucina ragionata ma libera, istintiva, frutto di una mente giovane, aperta e attenta agli stimoli, ma anche di un cuore innamorato. Della propria terra, delle tradizioni familiari, di un mestiere stancante ma in grado di restituire tanta soddisfazione. “Ho imparato da papà, ma poi ho continuato il mio percorso fuori dall’isola. Dopo la scuola alberghiera a Cefalù ho frequentato il corso professionale delle scuole del Gambero Rosso a Roma, poi tante esperienze d’inverno, nei mesi di chiusura dell’hotel: Rosetta, Pipero al Rex, Antonella Colonna a Roma e poi Torre del Saracino, con Gennaro Esposito”. Dopo, ha preso in mano le redini della cucina. La spesa, dal pesce di Santa Marina alle verdure, è campo del papà, mentre Martina, insieme agli altri 7 ragazzi della brigata, pensa alla lavorazione. Il pane, ben alveolato, dalla crosta croccante, la piacevole acidità che spicca e la mollica omogenea, è opera di Giacomo Caravello, sous chef che si è fatto le ossa con uno dei più grandi maestri della panificazione italiana, Davide Longoni.

 

Giuseppe Mascoli

Giuseppe Mascoli, proprietario di Franco Manca

Festa in Piazza. L’anniversario di Franco Manca

Un artigiano, Longoni, che ha rivoluzionato la scena della panificazione milanese e che da un anno si produce anche il grano da solo (per ora solo farro monococco e segale). È stato proprio lui uno dei protagonisti, insieme a Martina, Francesco Arena del panificio messinese Massimo Arena, e Ciro Oliva di Concettina ai Tre Santi di Napoli, della Festa in Piazza dello scorso 30 giugno e 1 luglio sul lungomare di Salina. Un evento gastronomico a più mani, durante il quale ogni professionista ha portato in tavola la propria specialità: la pizza fritta di Ciro, quella ispirata all’insalata eoliana di Martina, il pane cunzatu di Francesco e la focaccia pomodoro, ricotta e alici di Davide. Il festival è nato per celebrare il primo anniversario della pizzeria Franco Manca nell’isola, unica sede in Italia.

 

longoni

Davide Longoni alla Festa in Piazza

Parliamo di un colosso della ristorazione italiana all’estero, con la catena di pizzerie italiane nata a Londra, precisamente a Brixton, per idea di Giuseppe Mascoli, e poi ampliatasi in breve tempo in altri quartieri e città (Bath e Bristol, tanto per citarne alcune): un impero che oggi conta 45 insegne sparse in tutto il Regno Unito, “a breve 46”. Tutto ha inizio nel 2008 per volontà di Giuseppe e dell’amica panificatrice Bridget Hugo, che insieme hanno rilevato il locale di Franco Pensa, pizzaiolo stanco del proprio mestiere, rinnovandolo e migliorando gli impasti e la selezione di materie prime. “Franco era molto conosciuto a Londra e tutti i clienti per i primi mesi mi chiedevano dove fosse. Così, l’idea del nome, per far capire che Franco ormai non c’era più: Franco Manca”.

 

Franco Manca, Salina

Franco Manca, Salina

Giuseppe e la nascita di Franco Manca

Una delle tante idee insolite, istintive, a tratti incomprensibili ma sempre funzionanti ed efficaci di Giuseppe. Un personaggio (è proprio il caso di dirlo) enigmatico, dalla battuta sempre pronta, di quelli difficili da interpretare, con un senso dell’umorismo tutto suo, il pallino per la metafisica, l’economia non quantitativa e tanti interessi. Laureato in filosofia, assistente insegnante alla London School of Economics all’inizio della sua avventura londinese - un viaggio cominciato decenni fa e non ancora concluso - e poi, d’improvviso, proprietario di un night club: il Blacks, “c’era il Whites Gentlemens Club, che andava forte. Così ho pensato di farne uno tutto mio e chiamarlo Blacks”. Lo racconta esagerando l’accento, per poi tornare al suo italiano, anzi campano (è originario di Positano), continuando a scherzare senza mai prendersi troppo sul serio.

 

Bridget

Bridget alla Festa in Piazza, foto di Manuela Laiacona

Mentre lavora al night, frequenta la pizzeria di Franco, “buona, con forno elettrico”, viene a sapere che è in vendita e decide, con Bridget, di reinventarsi ristoratore. Lui, che ancora oggi si definisce “prima un playboy, poi tutto il resto”. Bisogna dialogare con leggerezza e tanta ironia con Giuseppe, sulla carta uomo d’affari ma nel privato una personalità difficile da cogliere. “Un personaggio, io? Almeno cinque, sei diversi!”.

 

farine

Le farine

Le materie prime

Nonostante la corazza impenetrabile di chi nel tempo ha voluto (o dovuto) costruirsi un’identità sfaccettata e criptica, Mascoli ha portato avanti negli anni un lavoro di ricerca minuzioso. Ogni sua pizzeria inglese è provvista di forno a legna, impasti a lunga lievitazione studiati da Bridget e materie prime italiane e britanniche di livello, dal pomodoro del piennolo (“ora ne sto studiando una tipologia che ho impianto a Salina e che ha dato vita a un ibrido dolcissimo e dalla buccia croccante”) alle farine personalizzate molite da Pivetti.

 

Pomodori

Pomodori del piennolo a Salina, foto di Manuela Laiacona

Fa eccezione la mozzarella, che cambia a seconda della zona: un fiordilatte “molto buono” prodotto a Londra e un altro invece realizzato nel West Country dai pastori locali. A Salina, il formaggio è quello di Milazzo e tutti gli ingredienti provengono dall’isola, a cominciare dai capperi. È proprio per selezionare i capperi migliori che Franco ha scoperto questa terra, “un luogo meraviglioso di cui mi sono subito innamorato”, decidendo poi di aprire un punto anche in Italia.

 

fiore del cappero

Fiore del cappero

I prodotti dell’isola: capperi e malvasia

In particolare, quelli di Virgona, azienda nata negli anni ’70 che oggi produce capperi sotto sale ma anche conserve saporite, pesti e sughi, e la capperonata “capperi grandi con cipolline che un tempo venivano serviti nelle occasioni speciali, un’antica ricetta di famiglia”, spiega la proprietaria. E poi i capperi canditi, sorprendente versione dolce del prodotto isolano, e la confettura di capperi e malvasia, un inno ai sapori più autentici del territorio. Le piante sono tutte a Malfa, i capperi vengono raccolti a mano, da fine maggio fino a inizio agosto, “purtroppo il ciclo vitale si è accorciato per via delle malattie. Ricordo che da bambina raccoglievamo fino a ottobre!”. Non manca la produzione di vino, Salina Rosso, Salina Bianco, Malvasia delle Lipari, e c’è anche un distillato, la grappa di Malvasia delle Lipari.

 

Capperi Salvatore d'Amico

Capperi Azienda Agribiologica d'Amico Salvatore

Altro produttore determinante nella coltivazione dei capperi a Salina è Salvatore d’Amico, una delle più antiche realtà locali, piccola azienda a conduzione familiare del comune di Leni aperta da nonno Antonino Divola all’inizio del Novecento, ampliata negli anni ’70 dalla figlia Nunzia e il marito Raffaele d’Amico e oggi condotta con grinta da Salvatore. Capperi piccoli e medi (tutti biologici), da gustare in purezza oppure nelle creme, ma anche foglie di cappero, “fantastiche fritte” o sbollentate e condite con un po’ di olio, aglio e peperoncino. E i cucunci, naturalmente, i frutti della pianta (il cappero è il bocciolo) “ma ancora non è stagione”. Un modo originale per gustare i capperi? “Cunzati, ovvero lasciati in ammollo in acqua tutta la notte e poi conditi con olio extravergine di oliva, sale, un po’ di aceto di vino bianco e origano fresco”. Anche Salvatore si diletta con il vino, sua grande passione da sempre, con Salina Bianco, Salina Rosso e Ambra, combinazione di insolia, cataratto e altre uve del territorio.

 

Malvasia

Vigneto Malvasia, foto di Manuela Laiacona

Hauner, il padre della malvasia

Quando si parla di malvasia, poi, è impossibile non citare Carlo Hauner, una cantina che ha fatto scuola e che ha segnato la storia del vitigno di Salina, un marchio che non ha bisogno di molte presentazioni, e che dagli anni ’60 a oggi continua a rappresentare il punto di riferimento in tutta l’isola per la viticoltura di qualità, insieme alla cantina Caravaglio. Hauner è un’azienda nata per volontà di Carlo, artista bresciano affascinato dalle Eolie, che in quell’uva che i contadini facevano appassire al sole ha visto per primo un grande potenziale. È lui a recuperare i vigneti abbandonati, iniziando ad appassire l’uva direttamente sulla vite e sperimentando con le tecniche di raffreddamento. Oggi è il figlio Carlo a mandare avanti l’attività con la stessa cura del padre, i cui dipinti dedicati all’isola sono impressi sulle diverse etichette, segno indelebile di un uomo che ha saputo reinterpretare e valorizzare uno dei prodotti più rappresentativi di Salina.

GLI INDIRIZZI

Mangiare

Franco Manca Salina – Lingua (ME) - via Marina Garibaldi – 0909843070 - www.francomanca.co.uk/restaurants/salina

Porto Bello – Santa Marina Salina (ME) – via lungomare N.G., 2 -  0909843125- www.portobellosalina.com/

Signum Hotel – Malfa (ME) – via Scalo, 15 - 0909844222 - www.hotelsignum.it/

Comprare

Azienda Agrobiologica d’Amico Salvatore – Leni (ME) - 335 7878795 - www.cantinedamico.it/prodotti-biologici-salina

Azienda Agricola Virgona – Malfa (ME) – via Bandiera, 2 - 090984 44 30- www.malvasiadellelipari.it

Carlo Hauner – Santa Marina Salina (ME) – via Umberto, 1 - 3397213713 - www.hauner.it/

Dormire

Capofaro Locanda & Malvasia – Malfa (ME) - via Faro, 3 - 099844330 - www.capofaro.it

Signum Hotel – Malfa (ME) – via Scalo, 15 - 090 984 4222- www.hotelsignum.it/

a cura di Michela Becchi

 

Biondi Santi. Le nuove sfide della cantina che ha inventato il Brunello

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Nuovo packaging, apertura al pubblico e al consumo al calice, tempi più lunghi di invecchiamento prima di uscire sul mercato, presenza social mirata e attenta. Ecco quali sono le strategie future per Biondi Santi.

 

Sono quattro le principali sfide per Biondi Santi: il rilancio internazionale, il mercato interno, la gestione del prestigio della marca e i cambiamenti climatici; il tutto riportando il conto economico in verde dopo gli investimenti iniziali per l’acquisizione del marchio-mito (oltre 100 milioni, ma la proprietà né conferma né smentisce).

 

I mercati: nuovi partner stranieri e apertura al pubblico

Per ripartire all’estero l’azienda sta lavorando sia nei mercati tradizionali del vino italiano di pregio, sia guardando al lontano oriente. Per prima cosa ha individuato nuovi partner, importatori in grado di riposizionare al meglio la marca: in Francia Charles Heidsieck Selection (casa-madre), negli Usa Wilson Daniels, per il Regno Unito Liberty Wines, in Germania Eggersohn, a Hong Kong The Fine Wine Experience, in Cina Ruby Red Wine.

Invece in Italia il nuovo corso di Biondi è iniziato aprendosi al pubblico, uscendo dalle sacre mura. Presentazioni, degustazioni, incontri, il tutto mirato più che ad aumentare le vendite a far stappare le bottiglie troppo spesso considerate veri e propri oggetti di culto. E per quanto possa sembrare curioso è questo uno dei problemi principali.

Nuove strategie di mercato di un vino di culto

Giovanni Lai, nuovo direttore commerciale Italia spiega uno dei punti cardine: “Biondi Santi, dati alla mano, è un'azienda da sempre comprata ma poco spesso bevuta. Il pregio che esprime il marchio tende a schiacciare il consumo, seppur dominando nel collezionismo”. È il momento di cambiare le cose: “Noi vogliamo invece ricalibrare questo rapporto, aprendo a nuovi segmenti di mercato, come per esempio il consumo a calice. In questo contiamo di allargare la platea dei consumatori, puntando a un pubblico più giovanile. A Roma al Bacaro, all'Imago, al Piccadilly, i primi esperimenti che abbiamo fatto sembrano darci ragione”.

Ma quanto costa un calice di Brunello Biondi Santi annata alla mescita? “Intorno ai 35 Euro”. È il prezzo del mito. In enoteca il Brunello Biondi Santi costa 120 euro, mentre il Brunello Riserva intorno ai 400 euro; ma parliamo delle produzioni più giovani, le ultime, ovvero l’annata 2012 e la Riserva 2011. Il Brunello è un vino che si esprime al meglio tra i 15 e i 30 anni (conservato nel modo giusto), le Riserve superano tranquillamente il mezzo secolo, migliorando ancora. Per quelle degli anni ’90 la fascia di prezzo è tra i 500 e i 1000 euro a bottiglia, a seconda dell’annata.

Biondi Santi è un lovemark, un marchio di culto; per le sue Riserve i collezionisti gareggiano nelle più prestigiose case d’asta mondiali. Un lotto di 12 bottiglie di Brunello di Montalcino Riserva 1955 è stato battuto a 20.400 sterline (oltre 23mila euro) da Christie’s, lo scorso 15 marzo.

 

Puntare in alto e aprirsi al pubblico

Olivier Adnotil nuovo CEO, per il futuro di Biondi Santi ci ha confidato di guardare più alla Borgogna che ai rossi di Bordeaux, e in particolare a Romanée-Conti. Una sfida interessante questa, soprattutto dal punto di vista commerciale, poiché la differenza di prezzo al pubblico tra i due è enorme, ma magari non sincera, malgrado si parli di vini diversi fra loro. La sfida sta nel dare un nuovo valore al padre del Brunello, proiettandolo molto più in alto di quanto sia già. Ma questo sforzo, che se premiato da successo farebbe decollare il prezzo, potrebbe apparire in contraddizione con la volontà della proprietà di aprirsi anche ad altri consumi, come quello al calice. Giovanni Lai aggiunge :"Biondi Santi non ha bisogno di interventi in vigna, tanto meno in cantina; noi stiamo intervenendo sul cambio di linguaggio commerciale. Montalcino vanta un terroir eccezionale, esprime vini unici. Grazie a due aziende è celebre per il Brunello: Biondi Santi perché lo ha inventato, Banfi perché lo ha proiettato verso il successo. Noi dobbiamo da un lato continuare a garantire l'altissima qualità del prodotto e dall'altra fare tesoro dei casi di successo commerciale”. Proprio con Giovanni Lai approfondiamo questi aspetti.

Una delle prime decisioni della nuova proprietà è stata quella di cambiare il packaging. Perché?

Non toccheremo il marchio ma pensiamo che sia meglio distinguere la bottiglia della Riserva da quella del Brunello annata, perché avendo la stessa etichetta ci può essere un po' di confusione, soprattutto online.

 

Quando avverrà questo cambio?

A febbraio del 2019.

 

Cambierà lo stile di produzione?

No. Questa è un’azienda per la quale l'eleganza è più importante della struttura. L'idea è quella di continuare la ricerca della freschezza e dell'acidità e quindi della longevità, più che della muscolarità. Con il cambiamento climatico delle ultime decadi riteniamo che l'esposizione delle nostre vigne, per lo più a nord e a est, sia un grande vantaggio.

 

Oltre al cambio del packaging quali altre iniziative avete intrapreso?

Questo è un marchio che ha confidenza col tempo e il Brunello, per le sue caratteristiche di lungo invecchiamento, a volte richiede pazienza per esprimersi al meglio. Pertanto per il rilascio delle nuove produzioni abbiamo deciso di attendere un anno in più rispetto ai tempi del Disciplinare di Produzione: quindi 6 anni per l'annata, 7 per la Riserva. Questo perché non vogliamo sentirci dire che il vino è buono ma che bisognerebbe aspettare ancora per berlo.

 

Vini così importanti per poter esser apprezzati a pieno richiedono conoscenza.

Si, infatti stiamo lavorando alla formazione della filiera, ovvero vogliamo che chi vende o dispensa i nostri vini sia ben preparato. La formazione degli agenti che presentano Biondi Santi riteniamo sia fondamentale. Un lavoro lungo, non semplice, ma non vogliamo vendere solo perché Biondi Santi è un'icona sacra del vino.

 

Quali sono gli elementi di continuità e quali quelli rottura per la strategia commerciale?

Il 2018 è l’anno zero per Biondi Santi: si è passati in quasi tutti i Paesi alla rete di distribuzione di EPI - già proprietaria di marchi di alta gamma del mondo del vino, come gli champagne Piper-Heidsieck, Charles Heidsieck e Chateau La Verriere a Bordeaux (ndr) - che garantisce l’alto profilo e il giusto rango per Biondi Santi, soprattutto per gli USA.

 

Parliamo di comunicazione. Più incontri col pubblico, più degustazioni, un tour di presentazioni, ma dopo un anno ancora niente internet; anche il sito è fermo da tempo. Assumerete un social media manager?

Ci sarà un sito nuovo, ci stiamo lavorando. Parlerà soprattutto del Greppo e dell’identità del marchio, della famiglia. Saremo presenti su qualche social ma con interventi mirati, senza un manager dedicato. Vogliamo parlare di Biondi Santi col calice in mano.

 

Quali sono i numeri di produzione oggi?

100mila bottiglie tra Rosso, Brunello annata e Riserva quando c’è. Destinato all'Italia per circa il 30%, il resto all’estero dove gli USA guidano le richieste, ma abbiamo percentuali significative in Cina e Giappone.

 

Tenuta Biondi Santi - Montalcino (SI) - Villa Greppo, 183 - 0577 848087 - http://www.biondisanti.com/

 

a cura di Dario Pettinelli

 

Vacanze gourmet. Pop up estivi d’autore al mare e in montagna, da Claudio Sadler ad Angel Leon

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In viaggio, ma senza rinunciare al gusto di un’esperienza gastronomica d’autore: è possibile? Suggerimenti pop up tra la Sardegna, Cortina, Ibiza… 

 

Se finora ci siamo concentrati sull'estate di chi resta in città (la serie di suggerimenti dedicati al mangiare all'aperto nei mesi più caldi dell'anno ha finora toccato Milano, Bologna, Firenze e Roma), le opportunità per sperimentare nuove esperienze gastronomiche in trasferta sono altrettanto golose da meritare un piccolo vademecum per viaggiatori gourmet. Con particolare attenzione agli chef che durante l'estate si trasferiscono a propria volta in note località turistiche, se non di persona, almeno firmando menu d'autore da scoprire in contesti insoliti.

Claudio Sadler a Porto Cervo

Come Claudio Sadler, patron chef dell'omonimo, storico ristorante di Milano, che per l'estate 2018 raddoppia con Sadler Porto Cervo, ospite dell'altrettanto storico Sottovento Club della celebre destinazione in Costa Smeralda (dove ha appena inaugurato anche il ristorante Nuna dello chef peruviano Rafael Rodriguez, già visto a Milano). In Sardegna il temporary restaurant resterà aperto per l'intera stagione estiva, sotto la guida dello chef Giacomo Lovato (mentre in sala si muoveranno il maitre Luigi Dragonetti e il direttore Walter Vallone); in tavola il mare e i prodotti dell'isola, con chiara ispirazione alle tradizioni locali, dai culurgiones alla fregula (proposta con zuppetta di frutti di mare al finocchietto, zafferano e peperoncino), ai lorighittas, al maialino sardo ripensato dallo chef. Con la possibilità di spizzicare fino a tarda notte, quando la carta si ridurrà a qualche proposta pensata per soddisfare la fame dei nottambuli, dagli spaghetti aglio e olio al plateau di ostriche. Ma anche una sezione speciale dedicata alla bresaola marinata che gioca con i classici della miscelazione, da quella allo “sbagliato”, con Campari, peperoncino, arancia e spezie, alla Tonic con ginepro. Solo di sera, fino alle 4 del mattino.

Negrini e Pisani al Lido di Cagliari

Ancora in Sardegna, all'altra estremità dell'isola, per ritrovare due abituè dell'estate al mare, ugualmente di stanza a Milano. Alessandro Negrini e Fabio Pisani (alias Il Luogo di Aimo e Nadia) hanno una stretta consuetudine con la provincia cagliaritana: nel 2017 la residenza estiva al Forte Village di Santa Margherita di Pula, hub di serate gastronomiche e ospitate eccellenti che per un mese intero, lo scorso agosto, ha servito i piatti storici dell'insegna meneghina; quest'anno la collaborazione con il ristorante A'mare, al Lido di Cagliari. Terrazza con vista sul promontorio della Sella del Diavolo, a due passi dal Poetto, e menu firmato Negrini-Pisani, con tante concessioni alla cucina marinara e mediterranea, ingredienti stagionali e prodotti dell'isola, dai ceci della Marmilla al pecorino di Gavoi, allo zafferano di San Gavino. Cantina che abbonda di referenze sarde e nazionali e giovane brigata in arrivo dalla scuola di Aimo e Nadia. A pranzo e cena.

 

Cucina ad alta quota a Cortina, picnic sul lago con Marco Sacco

Si cambia decisamente contesto per ritrovare la cucina mobile di Riccardo Gaspari, chef e patron del ristorante San Brite a Cortina d'Ampezzo, che da un paio di estati a questa parte si trasforma in chef che cucina la natura. È un pranzo ad alta quota, direttamente sulle rocce del massiccio del Cristallo, quello che lo chef si propone di offrire agli ospiti che non soffrono di vertigini: un tavolo per 10 persone, a 2000 metri d'altitudine, con tanto di cucina mobile attrezzata sul posto, per garantire un'esperienza gastronomica nella natura. Menu degustazione da cinque portate e tanti prodotti del bosco, dal pino mugo utilizzato per condire gli spaghetti alla corteccia macinata, ai licheni dolcificati. In “sala” sua moglie Ludovica. E prenotazioni aperte fino a settembre. Gioca tra i panorami naturali di casa anche Marco Sacco, che alla valorizzazione del lago di Mergozzo e dei suoi prodotti dedica tutta la cucina del Piccolo Lago. L'idea per la bella stagione è il picnic sulla Barchetta gourmet, in navigazione sul lago piemontese per un tour in 12 tappe tra spiagge, borghi e attrazioni naturali del territorio: tra una fermata e l'altra il menu proposto dallo chef, sempre diverso, disponibile a pranzo e cena (considerate 2 ore e mezza per completare il tour) fino al 30 settembre, per un massimo di 4 ospiti (180 euro l'esperienza per 2, 70 euro aggiuntivi per ogni commensale in più). Ultime proposte dall'estero, per chi progetta vacanze oltreconfine.

 

Angel Leon a Ibiza, Carme Ruscalleda a Monte Carlo

È Ibiza la destinazione estiva di Angel Leon, da Cadice (dove guida il tristellato Aponiente) all’arcipelago delle Baleari per il pop up ospitato sul rooftop dell’hotel Me Ibiza. Lo chef spagnolo non è nuovo a collaborazioni con grandi strutture alberghiere, e fino alla fine di settembre presterà volto e talento all’offerta del Radio Rooftop Bar, tra lezioni di yoga al tramonto e un tuffo in piscina, con vista sulla baia di Santa Eulalia. Decisamente una meta esclusiva, come il menu dedicato al mare che Leon ha ideato per Ibiza: in carta anche due dei prodotti marini oggetto delle sperimentazioni degli ultimi anni, alghe e plancton, di cui sfrutta la bioluminescenza per creare nel piatto inaspettati effetti di luce “commestibile”. Cucina a vista e 50 coperti sotto le stelle, chiaramente non a portata di tutte le tasche. Come pure il pop up a bordo piscina nel Principato di Monaco, all’Hotel Metropole di Monte Carlo, dove protagonista sarà per tutta l’estate un’altra apprezzata spagnola, Carme Ruscalleda, presso l’Odyssey Pool progettata da Karl Lagerfeld. Fino alla fine di agosto.

 

a cura di Livia Montagnoli

 

In Campo! Senza caporale. Dalla Puglia il progetto di Terra! per sostenere la filiera trasparente

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Dieci mesi di formazione in aula e sul campo con il sostegno delle aziende virtuose di Cerignola, motivate a lavorare in regime di trasparenza in un’area – quella del Capitanato di Foggia – tristemente legata al fenomeno del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori stagionali. Ecco come funzione l’ultimo progetto di Terra! per restituire dignità al lavoro. E all’uomo. 

 

La piaga del caporalato. Come contrastarla?

In Puglia, tra i campi di Cerignola, tutto è pronto per cominciare una nuova stagione di raccolta del pomodoro. Ma gli elementi disfunzionali di una delle filiere agricole simbolo del made in Italy continuano a perpetuarsi senza un deciso intervento da parte dello Stato per regolamentare un sistema che favorisce lo sfruttamento, chiudendo un occhio su condizioni di lavoro inaccettabili – intere giornate sotto il sole, senza tutele e diritti, per paghe miserabili – in nome di una compressione dei costi che permetta di spuntarla sul mercato grazie a prezzi “scandalosamente bassi”, come da anni si impegna a ribadire Fabio Ciconte, direttore di Terra! Onlus. Oggi l’associazione è impegnata in molteplici attività di inclusione sociale nelle campagne italiane, e in Puglia, dove il lavoro dei braccianti stagionali è legato a doppio filo con la piaga del caporalato e dello sfruttamento. E mentre opera sul territorio con azioni di sostegno ai lavoratori migranti confinati nei ghetti tristemente balzati, a più riprese, all’onore delle cronache, si spende per contestare un sistema miope, ribadendo la necessità di garantire una filiera trasparente, dal campo allo scaffale, perché sia il consumatore finale a operare una scelta in piena coscienza, orientando a sua volta le politiche della grande distribuzione e dell’industria.

 

La lettera al Parlamento

Una chiamata alla responsabilità che tocca tutti, e in prima battuta il Parlamento, destinatario della lettera aperta inviata qualche giorno fa per fare ordine in un momento di grande incertezza, a seguito di dichiarazioni istituzionali che destano preoccupazione, circa la volontà dell’attuale Governo di modificare la legge 199/2016 sul caporalato, di fatto un primo passo verso il debellamento della sfruttamento nei campi, con norme più severe per contrastarlo e soluzioni che premiano la rete del lavoro agricolo di qualità. Piccoli passi da perseguire con azioni mirate che favoriscano una piena applicazione della normativa, e invece ora rischiano di restare parole al vento, se come paventato si metterà mano alla legge. Eppure non mancano i rapporti sulla gravità della situazione, evidenziata dal dossier Sfruttati che Oxfam e Terra! hanno reso noto per denunciare le condizioni disumane in cui lavorano i braccianti stagionali nelle campagne italiane (fino a 12 ore al giorno, nel caldo asfissiante delle serre, per una diaria di 15-20 euro prima di tornare a confinarsi nei ghetti senza servizi, dignità e speranza: nel 2015 erano ancora 430mila i lavoratori irregolari impiegati nelle principali filiere agroalimentari del Paese, vittime potenziali di tutto questo, l’80% stranieri). Da qui l’appello ai parlamentari che Oxfam, Terra! e Cgil hanno sottoscritto insieme a 20 associazioni e personalità che operano per contrastare il caporalato e favorire l’inclusione sociale. E pure, come dicevamo, un (nuovo) impegno concreto, che l’associazione guidata da Fabio Ciconte battezza in queste ore al grido di In Campo! Senza caporale.

In Campo! Senza caporale. Formazione e trasparenza per la dignità

È questo il nome dell’ultima delle iniziative di Terra!, che agirà sul territorio pugliese di Cerignola e nelle campagne limitrofe avviando un network di aziende sostenibili che possano accogliere alcuni lavoratori migranti per dare loro una formazione, condizioni di lavoro e vita sostenibili per sviluppare insieme una filiera trasparente e sostenibile, incentivando un modo di produrre virtuoso e legale. Il progetto di dispiegherà attraverso lo stanziamento di borse lavoro retribuite per i lavoratori stranieri inseriti in azienda (alcune realtà biologiche della zona), per frequentare 10 mesi di tirocinio sostenuti, in aula e sul campo, dai docenti di Terra! L’obiettivo? Fornire loro l’emancipazione professionale, con una formazione specifica in ambito agricolo e sostegno legale. I proventi del prodotto etico e trasparente realizzato insieme saranno reinvestiti (con il sostegno del Fondo di Beneficenza Intesa Sanpaolo) per garantire la continuità del rapporto lavorativo al termine del tirocinio. E durante tutto il periodo i lavoratori alloggeranno a Cerignola, in condizioni abitative consone al rispetto dei diritti umani. L’iniziativa cercherà in questo modo di garantire un’alternativa alle dinamiche di produzione che attanagliano le campagne della Capitanata di Foggia, immettendo sul mercato un prodotto agricolo trasformato a marchio unico, che assicuri il rispetto degli standard biologici e illustri l’intera filiera attraverso un’etichetta “narrante”.

Tra le aziende partner, la Cooperativa Sociale Pietra di Scarto, che opera su 3 ettari di terreno confiscati alle mafie e produce olive Bella di Cerignola e pomodori, la Cooperativa Sociale Altereco che dal 2011 gestisce Terra Aut, bene analogamente confiscato ai clan mafiosi, l’azienda Acquamela Bio, che produce olive, cereali, uva Garganega, tutto in regime biologico. E ancora l’azienda Domenico Russo, e l’azienda Roberto Merra, da tempo impegnata a tutelare il lavoro regolare, con l’assunzione di personale stagionale regolarmente assunto. Un impegno concreto per mostrare il lato virtuoso della filiera (c’è, e grida a gran voce, il movimento Funky Tomato è significativo), con l’auspicio che altri seguano l’esempio. E che la legge accordi il suo pieno sostegno alla causa.

 

a cura di Livia Montagnoli

Le migliori gelaterie di Salerno e dintorni: 5 insegne da provare

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Passeggiando per l'elegante città campana, durante la stagione estiva il modo migliore per rinfrancarsi dal caldo afoso è gustare un ottimo gelato artigianale. Ecco gli indirizzi migliori della provincia secondo la guida Gelaterie d'Italia del Gambero Rosso. 

 

Un territorio vario e ricco di prodotti di qualità: a tavola Salerno sa presentare quanto di buono e autentico riserva questa terra sfaccettata e dalle mille anime, preservando una tradizione gastronomica antica e complessa. A cominciare dal ricco fronte dolciario, dai sapori netti e decisi, che può fare affidamento sulle tante materie prime d'eccellenza locali, e che lascia spazio anche alla gelateria e l'arte del freddo, che continua a dimostrarsi un comparto forte e solido, fondato su indirizzi validi sparsi in tutta la provincia. Ecco quali sono le gelaterie migliori secondo la guida Gelaterie d'Italia del Gambero Rosso.

Cioccolato Andrea Pansa – Amalfi

Ultimo esponente di una famiglia impegnata nel settore dal 1830, Andrea Pansa rappresenta la quinta generazione di gelatieri nel cuore della cittadina costiera. Nell'elegante locale gestito con cura e amore, è possibile assaggiare tante variazioni di cioccolato artigianale, fra praline e tavolette, ma anche un ottimo gelato, declinato in pochi gusti tutti molto convincenti, realizzati a partire da una ricerca minuziosa degli ingredienti migliori. Molti prodotti, come i limoni, arrivano direttamente da Villa Paradiso, la tenuta agricola di proprietà della famiglia che fornisce tutta la frutta alla base dei sorbetti. Specialità della casa è il gusto alla noce, fiordilatte e crema di nonna Adriana: da provare.

Cioccolato Andrea Pansa – Amalfi – via Lorenzo d'Amalfi, 9 – 089873282 - www.andreapansa.it/

Citrus – Battipaglia

Grazia Citro è la giovane e brillante titolare di questo locale nel centro di Battipaglia, la città dove è nata e cresciuta. Appassionata di pasticceria e gelateria, dopo una laurea in Economia, l'artigiana ha scelto di intraprendere la strada del sottozero, frequentando un corso di formazione professionale a Perugia, e rinunciando così al posto assicurato nell'azienda di famiglia. Tanto studio e ricerca e poi, nel 2015, una gelateria tutta sua. Una bottega del gusto dove assaporare sempre un gelato ben fatto con gusti che variano di continuo, assecondando il ritmo delle stagioni. Imbattibili il mascarpone e frutti rossi, il Biscottaccio ma anche la classica liquirizia. Imperdibile, poi, la Delizia al limone, emblema della tradizione salernitana, così come il Citrus, cavallo di battaglia del locale, una base bianca aromatizzata all'arancia con limone candito di Sorrento e granella di pistacchio. A completare l'offerta, sorbetti e graniti di buona fattura, oltre ai lieviti per la prima colazione fatti in casa.

Citrus – Battipaglia (SA) – via P. Baratta, 2 – 08281995512 - www.facebook.com/citrusgelateria/

Angelo Napoli – Salerno

Un locale elegante e moderno con annesso laboratorio di produzione, dove Angelo Napoli prepara con cura il suo gelato cremoso e fortemente legato al territorio. Tanti sapori della regione compongono i gusti creativi del bancone, pensati per accontentare tutti i gusti. Nascono così specialità come la crema uvetta e noci, il variegato all'amarena, la nocciola e il cioccolato bianco con scorzette di limone e mandorle pralinate. Da provare anche le granite, quella al fico bianco del Cilento su tutte, e poi la produzione dolciaria, fra torte – ricotta e pera in primis – e monoporzioni.

Angelo Napoli – Salerno – via Porta Elina, 15 – 089254116 - www.angelonapoli.it/

Crivella – Sapri

Si autodefinisce “gelatologo” e “narratore di gelati” Enzo Crivella, esperto conoscitore del territorio cilentano e figlio d'arte, da anni alla guida dell'impresa di famiglia nata dall'estro di papà Eugenio nel 1950. Instancabile ricercatore di eccellenze, nel tempo l'artigiano ha sperimentato con sapori e profumi diversi, creando abbinamenti sempre nuovi e originali a partire dalle migliori materie prime locali. Fino a ottenere un gelato morbido e cremoso, equilibrato e ricco di sapore. Fra i gusti più appreizzati, fiordilatte e visciole di Cantiano, fichi bianchi, nocciola di Cravanzana, specialità da assaporare all'interno, passeggiando, oppure seduti ai tavolini esterni vista mare.

Crivella – Sapri (SA) – c.so Italia, 82 – 3381330402 - www.crivella.it/

Di Matteo – Torchiara

Pluripremiato gelatiere, Raffaele Del Verme continua a stupire di anno in anno con i suoi gelati di alta qualità realizzati in quello che apparentemente sembrerebbe un classico bar di quartiere, dagli arredi e l'atmosfera retrò, ma che in realtà rappresenta una delle migliori insegne della regione. Nei suoi prodotti si nasconde tutto il meglio della gastronomia cilentana, e non solo. I gusti, equilibrati e creativi, riescono a sorprendere per il sapore intenso e la tecnica raffinata, a cominciare dalle declinazioni di cioccolato, abbinato a vari ingredienti (impossibile resistere a un assaggio di cioccolato e fichi), per finire con le creme setose, dal pistacchio alla nocciola. E poi miele e pere, fichi, alloro e mandorle, noci, senza dimenticare la linea di sorbetti, sempre diversi a seconda della stagione.

Di Matteo – Torchiara (SA) – piazza A. Torre, 13 fraz. Sant'Antuono – 0974831012 - www.facebook.com/gelateriadimatteo/

a cura di Michela Becchi

Gelaterie d’Italia del Gambero Rosso 2018 – pp. 240 – 8,90 euro – disponibile anche on line

Guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso. La classifica e i premiati

Le migliori gelaterie di Bergamo e dintorni: 4 insegne da provare 

I Drink Pink 2018. La festa dei vini rosati a Roma insieme al Gambero Rosso

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Sono le sfumature di rosa a colorare il calendario degli appassionati gastronomi romani: il 13 luglio torna I Drink Pink, l'evento del Gambero Rosso dedicato ai rosé, in programma alla Terrazza Civita.

 

L'evento

Protagonista assoluto dell'estate gastronomica della Capitale è sempre lui, il vino rosato, perfetto per i primi caldi, fresco e leggero. Un vino celebrato in tutte le sue sfumature attraverso eventi, manifestazioni e degustazioni dedicate, fra cui ormai l'immancabile appuntamento con il Gambero Rosso. Dopo la scorsa edizione alla Città del gusto Roma, quest'anno I Drink Pink torna in grande spolvero in una nuova location d'eccezione, Terrazza Civita. Per una serata all'insegna del gusto con tante etichette da Nord a Sud selezionate dagli esperti di vino del Gambero Rosso, in scena il prossimo 13 luglio.

Il sondaggio

Tanti i rosé italiani da scoprire e gustare in abbinamento a specialità gastronomiche di vario genere, per approfondire meglio le tinte del rosa del mondo enologico. Un festival rivolto a tutti, dai sommelier agli appassionati, dai produttori agli assaggiatori e, naturalmente, anche a tutti i consumatori più curiosi che hanno voglia di scoprire qualcosa in più su una delle eccellenze della scena vitivinicola tricolore. In attesa della serata, tutti i partecipanti potranno cominciare a segnalare online la propria preferenza con il sondaggio che il sito del Gambero Rosso ha dedicato alle etichette in degustazione.

Il programma

Una manifestazione di ampio respiro, I Drink Pink, che oltre alla data capitolina ha in programma un altro appuntamento a Napoli il 12 luglio, con location da definire. Intanto, il programma romano prevede il seminario “Rosé non solo estate. Degustazione di vini rosati e possibili abbinamenti”, con la guida di un esperto del Gambero Rosso e la moderazione di un giornalista enogastronomico, oltre all'intervento di un tecnico di settore.

I Drink Pink – Roma – 13 luglio 2018 - store.gamberorosso.it/it/eventi/345-658-i-drink-pink-2018-degustazione.html#/25-sede-roma/283-data-13_07_2018

Vota il tuo vino rosato preferito: www.gamberorosso.it/it/i-drink-pink-2018

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Müller Thurgau Vino di montagna. Alla scoperta delle migliori etichette

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La Rassegna Müller Thurgau Vino di Montagna è l'occasione per visitare la Valle di Cembra, e di provare le migliori espressioni di questo vino.

 

Dal 28 giugno al 1 luglio si è svolta a Cembra Lisignago la 31° edizione della Rassegna Müller Thurgau Vino di Montagna, organizzata dal Comitato Mostra Valle di Cembra, con il supporto della Strada del Vino e dei Sapori del Trentino. Un appuntamento ormai classico per fare il punto sul livello dei vini espressi da questo interessante vitigno e per scoprire le bellezze del paesaggio della Valle di Cembra.

 

La Valle di Cembra

La Valle di Cembra ha conservato nei secoli il suo aspetto un po’ selvaggio, che costituisce il lato più intimo e affascinante del suo carattere. La sua bellezza, calma e discreta, è un prezioso dono riservato allo sguardo di chi sa avvicinarla con sensibilità e dolcezza, rispettando il silenzio della sua solitaria natura. La valle è scavata dal sinuoso corso dell’Avisio, che scende dal ghiacciaio della Marmolada attraversando la Val di Fassa e la Val di Fiemme, prima di placarsi nel bacino di Stramentizzo. Dal piccolo lago artificiale, l’Avisio esce con la rinnovata irruenza giovanile di un ruscello di montagna. Riprende il suo corso scosceso, aspro e pietroso, tra strette curve, repentine accelerazioni e quiete pozze, che paiono brevi pause zen dentro un irrequieto flusso dall’energico dinamismo futurista. Il torrente s’inabissa, fin quasi a sparire, nella lunga e ripida gola tagliata nella dura pietra. Un canyon, che come una profonda ferita tra i rossi porfidi, s’insinua fino a ingoiare lo sguardo nella selva ombrosa dell’angusto fondo valle.

Ma basta sollevare gli occhi per cambiare orizzonte e perdersi nei sensuali profili dei versanti delle montagne. Le vette non conoscono la spoglia nudità dell’altitudine. I boschi coprono i morbidi rilievi senza i verticali slanci calcarei delle Dolomiti, donando al paesaggio una dolce e armoniosa bellezza. I due lati della Valle sembrano cercarsi e quasi sfiorarsi, nell’ingannevole gioco delle prospettive dello sguardo, ammaliato e perso nell’immensità del verde. Sul versante esposto a sud-est, i boschi rigogliosi sono tagliati dalle linee orizzontali dei muretti dei terrazzamenti. Porfido che dal ventre della montagna torna in superficie in pietre ordinate e squadrate, sapientemente accostate a secco.

 

I vigneti

Con un paziente e laborioso lavoro, i vignaioli hanno modulato le ripide pendenze in terrazze, che salgono la montagna come verdi scalini. Un paesaggio plasmato nei secoli con un sistema di coltivazione della vite che richiede fatica e impegno. Se a un vigneto in pianura possono bastare 300 ore di lavoro per ettaro, la coltivazione manuale in zone impervie di montagna ne richiede oltre 1500. I vini della Valle di Cembra portano nel calice tutti i valori del terroir: i suoli di porfido e calcare, la coltivazione terrazzata, il clima fresco con forti escursioni termiche e un’antica tradizione secolare. Un insieme di fattori che rende ogni bottiglia sincera espressione della terra di provenienza. Proprio per esaltare le caratteristiche della viticoltura della Valle di Cembra, sono nati due vini, vere icone del territorio: il Cembrani DOC 708 km Bianco e Rosso. Il nome del vino è ispirato alla lunghezza in chilometri dei muretti a secco presenti in valle e le due etichette sono create con un blend di vini forniti dai produttori che fanno parte del Consorzio Cembrani DOC, simbolo di collaborazione e di un condiviso senso di appartenenza a questa magnifica valle.

 

Il Müller Thurgau, un vino di montagna

Il vino tipico della Valle di Cembra è il Müller Thurgau. Il vitigno è stato creato nel 1882 da Hermann Müller, incrociando riesling renano e madeleine royale. La varietà ha trovato subito in Valle di Cembra le condizioni ideali per esprimersi su alti livelli qualitativi. Il clima, qui, è fresco e continentale, caratterizzato dalle miti brezze che risalgono dal lago di Garda e dai venti freddi che scendono dalle Dolomiti. I notevoli sbalzi termici nel periodo precedente la vendemmia, favoriscono lo sviluppo di aromi particolarmente intensi, preservando anche una buona acidità. Il 90% del Müller Thurgau italiano è prodotto in Trentino Alto Adige e la superficie coltivata in regione è di 902 ettari, di cui oltre 400 in Valle di Cembra.

 

15° Concorso Internazionale Müller Thurgau

All’interno della rassegna Muller Thurgau vino di montagna si è svolto il 15° Concorso Internazionale Vini Müller Thurgau. Sui 60 vini in gara, provenienti da Trentino, Alto Adige, Veneto, Repubblica Ceca e Germania, 18 hanno ottenuto la Medaglia d'Oro grazie a un punteggio superiore agli 85,5 punti. "Un risultato eccezionale a cui non avevamo mai assistito” ha commentato Mattia Clementi, Presidente del Comitato Mostra Valle di Cembra“che conferma ancora una volta la crescente qualità dei vini in concorso, tanto che sono diverse le etichette alle quali non abbiamo potuto assegnare Medaglie d'Oro e Medaglie d'Argento per via dei limiti stabiliti dal metodo di valutazione a cui facciamo riferimento, che impone di non premiare oltre il 30% dei vini in concorso".

I punteggi sono stati assegnati da una commissione composta da 18 membri: 9 enologi, 4 degustatori (ASPI, AIS, FIS e ONAV) e 5 giornalisti della stampa di settore.

 

I vincitori

Müller Thurgau Zeveri Trentino DOC Superiore 2017 di Cavit

Müller Thurgau Vigna Rio Romini Trentino DOC 2017 di Vivallis

Müller Thurgau Pietramontis Trentino DOC Superiore Valle di Cembra 2016 di Villa Corniole

Müller Thurgau Trentino DOC 2017 di Gaierhof

Müller Thurgau Trentino DOC 2017 di Fondazione Mach

Müller Thurgau Vigneti delle Dolomiti IGT 2017 di Azienda Agricola Francesco Moser

Müller Thurgau 1339 Trentino DOC 2017 di Cantina Sociale di Trento

Müller Thurgau Casata Monfort Trentino DOC 2017 di Cantine Monfort

Müller Thurgau Vigneti delle Dolomiti IGT 2017 di Società Agricola Fratelli Pelz

Müller Thurgau Cantina di Montagna Trentino DOC 2017 di Cembra Cantina di Montagna

Müller Thurgau Alto Adige Val Venosta DOC 2017 di Azienda Agricola Unterortl - Castel Juval

Müller Thurgau Alto Adige DOC 2017 di Hans Rottensteiner

Müller Thurgau Aristos Alto Adige Valle Isarco DOC 2017 di Cantina Produttori Valle Isarco

Müller Thurgau Graun Alto Adige DOC 2016 di Cantina Produttori Cortaccia

Müller Thurgau Alto Adige Valle d'Isarco DOC 2017 di Abbazia di Novacella

Müller Thurgau Trocken Hagnauer Sonnenufer 2017 di Winzerverein Hagnau

Müller Thurgau Fass 247 Hagnauer Burgstall 2017 di Winzerverein Hagnau

Müller Thurgau Rivaner Troken Edenheimer Ordengut 2017 di Weingut Anselmann

 

a cura di Alessio Turazza

foto: Mostra Muller Thurgau

Pastiglie Leone cambia proprietà, ma resta italiana. Com'è cresciuta la confetteria sabauda in oltre 160 di storia

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Dopo quasi 85 anni di gestione del brand dolciario famoso nel mondo, la famiglia Monero cede la proprietà della confetteria nata nel 1857 in Piemonte, da sempre legata al moto delle sue pasticche dolci. Ma com'era iniziata la storia? 

 

Pastiglie Leone. Le origini

Dal 1857 a oggi, la storia delle Pastiglie Leone ha incrociato a più riprese quella del costume italiano (per dire, uno dei più grandi estimatori delle pasticche dolci sabaude fu il Conte di Cavour, che amava specialmente le gommose alla liquirizia, aromatizzate alla violetta). Fondata ad Alba da Luigi Leone, la confetteria celebre per le sue pastiglie di zucchero multigusto e il packaging accattivante, ben presto fu “costretta” a trasferire il proprio laboratorio a Torino, per assecondare il successo e servire niente meno che la Real Casa. E nella sua evoluzione aziendale - che mai ha conosciuto una crisi e anzi ha assecondato un percorso di crescita che ha attraversato tutto il Novecento e oltre, facendo di Pastiglie Leone un vanto del made in Italy agroalimentare - dal 1934 gioca un ruolo fondamentale la famiglia Monero, che con i fratelli Giselda e Celso rilevava all'epoca l'attività, trasferendo nuovamente i laboratori nella bella sede liberty di Corso Regina Margherita. Circa 10 anni fa, però, l'ampliamento produttivo e la necessaria implementazione tecnologica avevano determinato un ultimo trasferimento, fuori città, presso lo stabilimento di Collegno dove l'impresa ha sede oggi, e dà lavoro a 70 dipendenti, dichiarando un indotto economico pari a 10 milioni di euro l'anno.

Il passaggio di proprietà

La notizia del giorno, quando ancora sono sconosciuti molti dettagli dell'operazione, è il passaggio di proprietà sancito da una comunicazione ufficiale della famiglia Monero, che cede il marchio a un'azienda privata italiana, non rivelandone l'identità, ma sottolineando soddisfazione sul fatto che il brand piemontese resti comunque in territorio nazionale. Proprio nel 2017 l'azienda, finora nelle mani di Guido Balla Monero, che alla mamma Giselda subentrava negli anni Ottanta, e da qualche anno era affiancato da sua figlia Daniela, direttrice marketing - aveva festeggiato il suo 160esimo anniversario. 84, invece, sono gli anni in capo alla famiglia Monero, con una storia che inizia negli anni di ripresa dal primo Dopoguerra, quando Giselda – che all'epoca lavorava alla Dora Biscuit di Torino - pensò di aiutare suo fratello a sbarcare il lunario proponendogli di intraprendere un'attività di commercio all'ingrosso di dolciumi. Proprio l'attività di rivendita, allora, fece incrociare la strada di Celso e Giselda con quella di Pastiglie Leone: in breve, i fratelli Monero divennero i principali acquirenti del laboratorio. Negli anni Trenta la confetteria viene messa in vendita: un'occasione da non perdere.

La Leonessa Giselda Balla Monero

La prima rivoluzione promossa da Giselda – da subito vera mente imprenditoriale dell'azienda, soprannominata La Leonessa - è il trasferimento dei laboratori (all'epoca ricavati nelle ex scuderie del palazzo) e del punto vendita in uno spazio più funzionale. Così si concretizza il trasloco in Corso Regina Margherita 242: alle pastiglie, che resteranno sempre il prodotto di punta, si affiancano nuove referenze di confiserie e caramelle, mentre la rete di acquirenti per la vendita all'ingrosso si infittisce. L'azienda travalica presto i confini regionali (nel mezzo il bombardamento del palazzo di Corso Regina Margherita, prontamente ricostruito) e la sua fama raggiunge l'Italia intera, pur legata a metodi di produzione ancora artigianali e senza una razionalizzazione sistematica della distribuzione. Finché nel secondo dopoguerra Pastiglie Leone non rileva l'azienda Floris, di proprietà del marito di Giselda Monero, impostando le basi per una crescita aziendale più organica, a cominciare dall'ampliamento del laboratorio, con nuovi macchinari e dipendenti. Tra le tappe cruciali di questo successo italiano, la costruzione di una rete vendita più funzionale già negli anni Ottanta, e il restyling del packaging, che solo negli anni Duemila portò le celebri scatoline di latta portapastiglie ad assumere colorazioni diverse in funzione del contenuto (fino a quel momento l'articolo più venduto erano state le pastiglie sfuse, acquistate in drogheria), determinando una decisa impennata delle vendite e soprattutto l'adozione definitiva di diversi canali di distribuzione (con la scomparsa della drogheria). Oltre 40 sono i gusti in catalogo oggi, praticamente onnipresenti in bar, confetterie ed erboristerie d'Italia, e non solo. Con un vanto che è sempre stato il fiore all'occhiello di Pastiglie Leone: mantenere gli standard di una produzione artigianale made in Italy che piace molto all'estero. L'auspicio è che la nuova proprietà prosegua su questa strada.


Il nuovo Pascucci Moka a Milano punta tutto sul caffè tradizionale, ma fatto bene

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Continuano ad aumentare gli indirizzi di qualità nella mappa caffeicola di Milano, una città che si sta imponendo sempre più come punto di riferimento nazionale per l'oro nero. Il nuovo locale di Pascucci punta tutto sulla moka, il tradizionale metodo casalingo, ma non rinuncia a sofisticate macchine espresso. 

 

Milano. Ancora nuove aperture

Arrivi a Milano, esci dalla stazione centrale, attraversi la strada fino ad arrivare al palazzo sormontato dalla grande insegna luminosa delle Assicurazioni Generali, tra via Pirelli e via Vittor Pisani, e ti fermi a prendere il primo, ottimo caffè della città. E non uno qualunque. Quello preparato nella maniera tradizionale, casalinga, il caffè fatto con la moka, la macchinetta dal tipico gorgoglio che da sempre caratterizza il risveglio delle case italiane. Dunque, dicevamo, arrivi di fronte alle ampie vetrate da cui sbirciare un ambiente luminoso, curato nei minimi dettagli, arredato con attenzione, fra accessori di design e illustrazioni grafiche accattivanti, e ti ritrovi davanti a una serie di macchinari ultimo modello ad alta tecnologia. Uno spazio distribuito su due livelli, per un totale di circa 300 metri quadri, progettato – come tutti i locali a marchio Pascucci – dall'architetto Marco Lucchi, in collaborazione con il centro creativo della torrefazione.

 

Banco bar

La torrefazione

Una realtà ormai affermata in tutta Italia, nata nella provincia di Pesaro Urbino ma ormai sparsa in vari punti dello Stivale, in particolare in Romagna, dove è presente in diverse declinazioni (da segnalare il Pascucci Bio di Riccione, fra gli indirizzi più interessanti). Nonostante le insegne in ogni dove del Centro Nord Italia, da anni ormai è quella meneghina di Corso Europa a distinguersi per la dinamicità dell'offerta. Almeno, fino a ora. Perché il neonato locale di Piazza Duca d'Aosta sembra avere tutte le carte in tavola per imporsi come migliore espressione della torrefazione (e una delle caffetterie più valide di Milano).

Design e offerta

Legno di faggio per i tavoli e le sedute, marmo Calacatta grigio e illuminazione del light designer Renzo Serafini, con lampade da parate in ottone e ferro che si articolano in gradi strutture luminose nelle zone più ampie. Soprattutto, banchi con numerose attrezzature e macchine firmate XLVI Operai del vapore, laboratorio artigianale dedicato al caffè che produce strumenti dalla manifattura precisa e le elaborazioni sartoriali. Entrando nel nuovo Pascucci Moka, ci si trova di fronte al banco della gastronomia, con brioches, lieviti, dolci ma anche specialità di stampo anglosassone perfette per chi ama le colazioni straniere più sostanziose o per un brunch. Per pranzo, piadine, yogurt con cereali e frutta, l'ormai immancabile club sandwich, insalate e hamburger.

 

Moka

Il ritorno alla moka

Protagonista indiscusso resta il caffè, fra miscele e singole origini della casa, estratte in espresso ma anche con metodi alternativi. La vera ricerca, però, qui si fa sulla moka, che per la prima volta in un bar italiano diventa l'elemento centrale e lo strumento ideale per far conoscere al pubblico il mondo dell'oro nero di qualità. Perché dietro le macchine espresso di ultima generazione, gli accessori d'eccezione che arredano il locale, si cela in realtà una filosofia molto semplice, che ritorna alle origini, all'ambiente domestico. Un tuffo nel passato per poter andare avanti. Ritrovando quel ritmo di vita lento e rilassato, cadenzato solo dal borbottio della macchinetta. Riscoprendo la pazienza, l'arte dell'attesa, la gioia di un buon caffè in compagnia. La fretta e la superficialità hanno portato tante persone a dimenticare la moka, immancabile in ogni casa italiana insieme alla napoletana, a favore delle capsule, che sono più pratiche, ma decisamente inquinanti”, spiega Mario Pascucci, titolare della torrefazione.

Basta capsule. La moka è uno strumento sostenibile

Da questa constatazione, l'idea: “Vorremmo aiutare le persone a recuperare il piacere del rito del caffè fatto in casa con cura e attenzione, e a ritrovare il tempo di sedersi insieme per condividere una tazzina che veramente unisce”. Avendo come unico scarto “un humus ricco di vita e non un prodotto plastico da ritrovare nello stomaco di un pesce”. Perché è vero, come abbiamo ribadito più volte, che esistono tanti modi per degustare il caffè che vanno oltre al canonico espresso – il v60 o l'aeropress, tanto per citarne alcuni – ma è altrettanto doveroso mantenere vive le tradizioni familiari. Moka in primis. Anche perché un buon caffè (e quindi chicchi di qualità, selezionati con cura, tostati ad arte e macinati al momento) può dare origine a bevande straordinarie qualsiasi sia il sistema di estrazione, purché sia eseguito attentamente. Nel Banco Moka di Pascucci, 7 fornelli elettrici, ognuno per una moka da 3, che il cliente può consumare da solo o condividere con gli altri, con un tempo di preparazione di soli due minuti.

 

pascucci

Milano capitale del caffè

Per gli amanti dell'espresso, una macchina “leva” a dir poco scenografica de La Marzocco, che alla tecnologia più avanzata coniuga un design innovativo in grado di catturare l'attenzione anche dei neofiti del settore. E poi Azomico, esclusiva XLVI composta da 4 silos per la conservazione del caffè, in grado di preservare a lungo gli aromi grazie alla presenza di azoto. Fra i chicchi in assaggio, Caffè Confuso, con la storica “crema confuso” alla vaniglia, fra i grandi classici di Pascucci, e poi lo specialty del mese (per tutto luglio sarà il Perù Coe della Finca San Pedro El Shimir di Fredy Guevara, coltivato a 1800 metri, con sentori di pesca e vaniglia, una nota profonda di cioccolato fondente e delle nuance piacevolmente acidule e speziate). Novità dell'estate, invece, è il Caffè Pompato, un cold bew– estratto a freddo – simile a una birra Stout scura, cremoso e caratterizzato da una schiuma densa e il gusto vellutato, spillato direttamente nel bicchiere. “In questo 2018 Milano si avvia a diventare la vera capitale mondiale del caffè” - dopo le più recenti aperture di Cafezal, Milano Roastery e Cofficina Ticinese 58, a breve sarà anche il turno del grande Starbucks Reserve in piazza Cordusio -  “l'auspicio è che questa vitalità possa contagiare altre città, a cominciare dai porti storici quali Trieste, Genova e quell'unicum che è Napoli”. Per tornare a essere davvero la “patria della trasformazione del caffè”.

Pascucci Moka – Milano – Piazza Duca d'Aosta - www.pascucci.it/  

a cura di Michela Becchi

 

Come cambia San Miguel a Madrid. Il più acclamato mercato gastronomico di Spagna chiama i big per rilanciarsi

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Nel 2009 il debutto della struttura eletta a modello dai mercati gastronomici di tutta Europa. Un anno fa il cambio di proprietà e una riflessione sulla necessità di cambiare registro, puntando nuovamente sulla qualità dell’offerta. Ora si punta a coinvolgere i grandi nomi, come Jordi Roca. 

 

La storia. San Miguel è ancora il tempio della gastronomia di Madrid?

Si diceva un tempo - quando il recupero della bella struttura di inizio Novecento in vetro a acciaio di plaza de San Miguel, a Madrid, faceva scuola in Europa come perfetto esempio di valorizzazione architettonica a vantaggio della collettività – che il mercato gastronomico di San Miguel fosse, tra i suoi pari, uno dei più affascinanti del mondo. Sicuramente per la capacità di lanciare la volata, precorrendo i tempi, alla moda ormai dilagante delle food court (o food hall, che dir si voglia): mercati alimentari a forte trazione gastronomica, dove l’acquisto del prodotto è secondario rispetto alla possibilità di consumare sul posto, condividere un buon bicchiere di vino con gli amici, farsi ingolosire dalle proposte del giorno delle cucine che convivono l’una affianco all’altra sotto lo stesso tetto. Niente di più che lo sdoganamento di una lunga tradizione (specie in Italia) di cibo di strada, ma nella veste più congeniale alle abitudini di consumo contemporanee. Dietro all’operazione San Miguel, nel 2009 (e dal 2003 considerando l’inizio dei lavori), ci fu la società El Gastrodomo de San Miguel, che all’epoca ripensò e ridisegnò lo spazio del vecchio mercato, acquistando e poi rivendendo i banchi vendita ad attività di gastronomia e ristorazione già rodate, per fare della pur piccola struttura nel centro della città un vero parco giochi per gourmet votato alla cultura delle tapas. Da lì in avanti i superlativi si sono sprecati: (quasi) tutti d’accordo nel venerare il tempio gastronomico di Madrid, con i numeri – 10 milioni di visitatori ogni anno, di più sono capaci solo lo stadio Santiago Bernabeu e il Museo del Prado – a sostenerne la causa.

Il cambio di proprietà

E forse proprio gli ingenti flussi turistici hanno portato ad abbassare la guardia: mentre i nascenti mercati gastronomici d’Europa lo eleggevano a riferimento indiscusso (anche per il Mercato Centrale di Umberto Montano si è a lungo speso il parallelo con Madrid), San Miguel perdeva il suo fascino. O almeno smetteva di esercitarlo sugli appassionati di cibo più accorti, in cerca di una proposta di qualità difficilmente rintracciabile tra i tapas bar del mercato, se non a caro prezzo. Circa un anno fa, però, è arrivato il cambio della guardia: una nuova proprietà, la Redevco Iberian Ventures (olandese, per la prima volta impegnata nel mondo della gastronomia), intenzionata a ripensare il parterre degli attori coinvolti, chiamando in causa nomi del calibro di Jordi Roca– con la sua gelateria Rocambolesc – o Roberto Ruiz, patron del ristorante messicano Punto MX. Ai conoscitori della scena gastronomica madrilena non sfuggirà un dettaglio: Rocambolesc e Punto MX già convivono all’ultimo piano del Corte Ingles di Serrano, dove il grande centro commerciale ha voluto investire sulla creazione di una food court d’autore, chiamando pure David Munoz, secondo un modello poi replicato in altre città.

Il rilancio di San Miguel. Come sarà

Analogo è l’obiettivo del rilancio di San Miguel, che sarà presentato ufficialmente il 29 settembre prossimo, nel giorno del santo titolare. La nuova offerta dovrebbe poter contare anche sulla presenza della catena fusion giapponese Kabuki, sui piatti tradizionali di Arzabal e sul Paella Power dello chef Rodrigo de la Calle, che per il mercato avrebbe ideato un nuovo format dedicato al riso. E poi tapas bar innovativi, tortillerie, pasticcerie già note nel panorama cittadino Del resto l’investimento iniziale parla chiaro: per assicurarsi la proprietà e la gestione dell’immobile, la società olandese ha sborsato un anno fa 70 milioni di euro, ingolosita dagli incassi giornalieri che oscillano tra i 12mila e 17mila euro, con picchi evidenti nel fine settimana. Ma l’idea per il futuro è quella di tornare ad attrarre anche i madrileni, che oggi frequentano in minima parte una piazza così congestionata e poco originale, scommettendo sulla qualità dell’offerta e sull’arrivo di grandi nomi: da mesi, infatti, la società intrattiene trattative per assoldare figure di spicco della scena gastronomica spagnola, che entrerebbero al mercato in sostituzione di qualche realtà uscente, versando una quota degli incassi ai gestori. A partire dal mese di settembre, il progetto dovrebbe concretizzarsi in due fasi, con il completamento degli innesti (alcuni già operativi) entro la fine del 2018. E all’arrivo di nuovi inquilini corrisponderà un ripensamento degli spazi, secondo un lay out che favorisca la suddivisione per categorie merceologiche, la varietà dell’offerta, l’originalità della proposta gastronomica, la cura del design da parte di ciascun operatore. Perché un mercato gastronomico non si reinventa dall’oggi al domani. Ma le potenzialità dello spazio sono infinite.

 

a cura di Livia Montagnoli

Pesce di stagione. Guida dei pesci estivi che si trovano nel Tirreno

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Grazie alle preziose indicazioni di 9 grandi chef abbiamo stilato una mappa del pesce estivo nel Tirreno, da Nord a Sud. Ecco un glossarietto utile per orientarsi al meglio quest'estate tra i banchi del mercato.

 

Quando le temperature si fanno più calde è il pesce azzurro a spadroneggiare, come la ricciola, le alici, le sardine. Ma sui banchi del mercato c'è spazio anche per il pesce bianco, alcuni crostacei e molluschi, cozze e vongole in primis. Con l'aiuto di 9grandi chef abbiamo stilato una mappa del pesce estivo nel Tirreno, da Nord a Sud. Loro sono: Enrico Marmo, Davide Cannavino e Valentino Cassanelli, Luciano Zazzeri, Fulvietto Pierangelini e Gianfranco Pascucci, Giorgio Scarselli, Rinaldo Merola e Martina Caruso. Qui, invece, un utile glossarietto (di soli pesci di acqua salata) per orientarsi al meglio quest'estate tra i banchi del mercato.

Pesce azzurro

La definizione viene comunemente utilizzata per indicare i pesci con una colorazione del dorso metallica e tendente, appunto, all’azzurro. Pur non essendo una categoria scientifica, per convenzione vi appartengono quelle specie che, oltre ad avere la tipica colorazione, non hanno contatti con i fondali marini pur vivendo in profondità e che si muovono in branchi in mare aperto. Oltre a essere economico, il pesce azzurro è ricco di gusto e di nutrienti preziosi come gli acidi grassi essenziali, soprattutto omega 3, e i minerali come il fosforo e lo iodio. Il pesce azzurro annovera tra le sue specie esemplari più famosi come il tonno, il pesce spada, le alici, le sardine, e tipi meno noti come il pesce sciabola e la boga.

Pesce bianco

Anche quando si parla di pesce bianco non si intende una categoria di pesce codificata. È piuttosto una definizione di comodo che comprende una vasta gamma di pescato delle classi e forme più disparate, tutte accomunate da carni bianche, delicate e tendenzialmente povere di grasso. Rientrano in questa categoria alcune delle specie più comuni e utilizzate, come il merluzzo, e altre meno note ma altrettanto gustose in cucina, come la mormora o il cefalo.

 

Alice o acciuga

AcciugaFoto di www.chioggiapesca.it

Acciuga deriva dal greco aphýē, nome di un piccolo pesce, mentre alice deriva dal latino hallēx, una salsa simile al garo fatta con interiora fermentate di pesce. Sebbene sia spesso confusa con la sardina, queste due specie appartengono a famiglie diverse e hanno un aspetto differente. L'acciuga ha corpo allungato e snello, privo della cresta ventrale di scaglie rigide (presente nella sardina), con testa, occhi e bocca grandi.

 

Barracuda

Barracuda

Nonostante sia tipico dei mari tropicali e subtropicali, il barracuda Sphyraena viridensis, che sta sempre più colonizzando i nostri mari, non è da confondere con il Grande Barracuda (quello che attacca l'uomo, per intenderci). Ha corpo cilindrico e poco affusolato, raramente supera il metro di lunghezza, sulla superficie del corpo sono presenti delle bande nere e ha una bocca molto grande, che si apre per tutta la lunghezza della testa, con denti affusolati; non a caso è un pesce predatore. La sua carne è saporita e non ha molte spine.

 

Boga

Boga

Il Boops boops (questo il nome scientifico) viene spesso confuso con le sardine o i latterini, nonostante sia della famiglia degli sparidi. Ha un corpo argenteo, che supera raramente i 25 cm di lunghezza, il dorso scuro a volte con tonalità di verde, il ventre bianco e dalla testa dipartono 3-4 linee longitudinali brune o dorate, non sempre visibili. Le boghe vanno consumate entro poche ore dalla cattura altrimenti l'intestino va facilmente in putrefazione, causando un cattivo odore.

 

Cefalo o muggine

CefaloFoto di www.chioggiapesca.it

Il termine si usa genericamente per indicare i pesci della famiglia dei mugilidi, per questo chiamati anche muggini. Si tratta di esemplari (la lunghezza varia dai 30 ai 70 cm) dal corpo affusolato di colore bianco argento, coperto di fitte squame spesso difficili da eliminare. Sono cinque le specie riconoscibili nei nostri mari; di queste, il cefalo volpina è sicuramente il più pregiato sia per la bontà delle carni, sia in quanto dalle ovaie si ricavano le bottarghe migliori. Si riconosce da una sottile membrana adiposa sull’occhio (l’occhio velato in questo caso è segno di freschezza). Molto apprezzati in cucina sono anche il cefalo dorato o lotregano, piccolo e contraddistinto da una macchia gialla ai lati della testa, e il cefalo bosega.

 

Cernia di fondale

CerniaFoto di filmatidimare.altervista.org

Il corpo è tozzo e si differenzia dalla cernia propriamente detta per via della bocca enorme, della mandibola più lunga della mascella e della caratteristica fronte concava. La colorazione dell'adulto è grigio piombo mentre i giovani sono neri con fitte macchie bianche.

 

Corvina

CorvinaFoto di www.chioggiapesca.it

Ha un corpo allungato, compresso ai fianchi, con una testa a punta e fronte alta. Il suo colore è tendenzialmente grigio con riflessi ambrati e metallici che sul dorso e sui fianchi diventano più scuri fino a raggiungere il bruno dorato. La pinna caudale è gialla e nera sul bordo inferiore, e la pinna dorsale doppia, giallastra, è molto marcata. Raggiunge una lunghezza di oltre 50 centimetri ed è molto simile alla cernia sia come dimensioni che come sapore.

 

Dentice

DenticeFoto di www.ilpescatoreonline.it

Il Dentex dentex ècaratterizzato da bocca e denti grandi, da qui il nome, e da una fronte dritta che conferisce al pesce l’espressione tipicamente imbronciata. Durante il periodo della giovinezza, presenta delle pinne nere e una colorazione bruno-azzurra, con l'età adulta perde il colore marrone e diventa grigio-azzurro con punti blu e neri. Le carni sono magre e sode.

 

Leccia

Leccia

Foto di www.chioggiapesca.it

Il Lichia Amia è un pesce corpulento e robusto, che può raggiungere una lunghezza massima di un metro. Ha un corpo compresso lateralmente con forma di losanga e caratterizzato da una testa in proporzione piccola, ma con una bocca molto grande. La carne è saporita, dal gusto simile a quello della ricciola.

 

Gallinella o lucerna

GallinellaFoto di www.chioggiapesca.it

Conosciuta anche come coccio, cappone o mazzola, la gallinella ha un corpo allungato e assottigliato nella parte posteriore, con una grande testa dal colore rosa. Il muso è appuntito e presenta una bocca grande con la mascella superiore più sporgente dell'inferiore (sui banchi dei mercati può essere confusa con una grande triglia). Le sue carni sono molto saporite e ricche di spine.

 

Mormora

Mormora

Foto di www.chioggiapesca.it

Ha un corpo di forma ovoidale, piuttosto affusolato e compresso sui fianchi, che raggiunge un massimo di 55 cm (ma la lunghezza media è di 30). Il muso è piuttosto allungato ed è di colore argento, con il dorso segnato da circa una quindicina di strisce verticali bruno-grigiastre, e coda e pinne di tonalità tendente al giallo. Ha una carne molto succulenta e proteica.

 

Morone

Morone

Conosciuto anche come ricciola di fondale, il morone viene pescato praticamente solo in Liguria e Toscana. Ha un corpo ovale schiacciato lateralmente e una bocca abbastanza grande, lunga fino all'occhio, e un muso arrotondato. Il colore è scuro, appena più chiaro nella zona ventrale e spesso con macchie più scure o argentate. La sua carne è bianca, carnosa e succulenta.

 

Mostella

Mostella

Pesce appartenente alla famiglia dei gadidae, la stessa famiglia dei merluzzi nordici, ma molto meno noto. È di colore marrone scuro grigio, ha occhi sporgenti, un barbiglio sul mento e una bocca ampia con labbra grosse; nonostante non sia proprio piacevole alla vista ha una carne delicata e con poche lische.

 

Nasello o merluzzo

Nasello

Foto di www.chioggiapesca.it

Noto con il nome “merluzzo”, il nasello può raggiungere anche i 130 cm di lunghezza e 15 kg di peso. Il corpo è allungato e snello, maggiormente alto sul dorso e con un muso appuntito; la sua colorazione principale, sempre sul dorso, è grigio-nerastra, i fianchi invece sono bianco-argentei proprio come l’interno della bocca e il ventre. Le carni sono bianche, dal sapore gustoso e delicato.

 

Occhiata

Occhiata

Foto di www.chioggiapesca.it

L'occhiata ha un corpo ovale sottile e schiacciato, con righe longitudinali e la caratteristica macchia nera sulla coda. I suoi occhi sono molto grandi (da qui il nome) e la bocca è obliqua, il che conferisce al pesce un’espressione costantemente triste.

 

Palamita

 

Palamita

 

Foto di www.ilgiornaledeimarinai.it

Il Sarda sarda è molto simile a un piccolo tonno: ha un corpo allungato, appiattito sui fianchi, di lunghezza tra 50 e 70 cm, con un colore azzurro-argenteo, più scuro sul dorso, che presenta delle strisce tendenti al nero, mentre sui fianchi va via via schiarendo. L’occhio è piccolo e la bocca ampia. Ha poche spine e carni molto gustose e compatte molto simili allo sgombro.

 

Perchia

PerchiaFoto di www.ilgiornaledeimarinai.it

È un pesce dal corpo allungato con muso appuntito e occhi grandi. La bocca è molto ampia, dotata di piccoli denti e labbra carnose. Ha un colore abbastanza variabile (in relazione al sesso, all’età o all'habitat) e consiste in un fondo bruno chiaro o marrone rossiccio, striato verticalmente da larghe fasce irregolari di colore bruno rossastro, e orizzontalmente da linee regolari arancio o dorate che continuano anche sulla testa. Le pinne sono giallognole. Raggiunge massimo una lunghezza di 40 cm, ma di norma si aggira intorno ai 20.

 

Pesce balestra o pesce porco

Pesce balestra

Foto di www.ilgiornaledeimarinai.it

I pesci balestra hanno forma romboidale tipica dei balistidi, i pesci con le pinne a balestra. La testa è lunga oltre un terzo dell'intero corpo, la coda è a mezzaluna, gli occhi sono prominenti, la bocca è munita di un robusto becco con denti taglienti che utilizza per rompere conchiglie o coralli di cui è ghiotto. Una delle caratteristiche è di avere una pinna dorsale particolare, formata da 3 raggi spinosi, il primo dei quali è erettile e munito di una sorta di blocco di sicurezza: un congegno anatomico che gli permette di resistere incastrati tra le rocce in caso di pericolo.

 

Pesce castagna o pesce luna

Pesce castagnaFoto di www.amiciperlapesca.it

Il pesce castagna deve il suo nome alla forma del corpo che assomiglia appunto a una castagna, ovale, alta e compressa (è simile ad una grossa orata). Il colore del pesce vivo è grigio argenteo uniforme, davanti agli occhi presenta una macchia giallo dorata e l'interno della bocca, con denti acuminati e mandibola sporgente, è nero. Ha una pelle molto coriacea con squame spesse e difficili da rimuovere, ma le carni sono bianche e morbide.

 

Pesce sciabola

Pesce sciabolaFoto di www.ilpescatoreonline.it

Il Lepidopus caudatus è conosciuto comunemente come pesce sciabola, spatola, lama o bandiera. Ha un corpo allungato (tra i 50 e i 150 cm di lunghezza), tipicamente nastriforme, e un muso altrettanto allungato con mascelle provviste di denti aguzzi e robusti. Il colore argentato lo rende inconfondibile. La carne è soda, bianca con sfumature rosate, caratterizzata da poche spine e dal sapore delicato.

 

Pesce serra

Pesce serraFoto di www.chioggiapesca.it

Il Pomatomus saltatrix, ha un corpo fusiforme di colore grigio-verde con pinne scure e una macchia argentata sul ventre. Il viso ha dei riflessi color oro e la bocca è caratterizzata da forti mascelle dotate di denti triangolari molto robusti e taglienti come rasoi, che fanno del pesce serra un ottimo predatore. In cucina viene spesso utilizzato come valido sostituto della più pregiata spigola, anche se ha un sapore più deciso e una consistenza più asciutta.

 

Pesce spada

Pesce spadaFoto di www.meteoweb.eu

Ha un corpo fusiforme che si restringe nella parte posteriore, ma la sua caratteristica più nota ed evidente è il grande sviluppo della mascella superiore che forma la tipica spada. Le sue carni sono eccellenti. Come il tonno, è un pesce migratore.

 

Pezzogna

Due pezzogne

Il Pagellus bogaraveo, noto anche come occhino, besugo, pezzogna, occhialone, mupo o rovello, ha un corpo alto e appiattito lateralmente, con occhi molto grandi. Il colore è rosso su dorso e fianchi negli adulti, mentre è argenteo negli esemplari giovani. È sempre presente una macchia nera circolare dietro la testa. Le sue carni sono delicate e saporite.

 

Rana pescatrice o coda di rospo

Rana pescatriceFoto di www.ilpescatoreonline.it

Con una testa appiattita e allargata, ricoperta di creste ossee e spine, con una bocca enorme dotata di numerosissimi denti aguzzi, e un corpo sottosviluppato; la rana pescatrice è un pesce parecchio sgradevole alla vista. Eppure le sue carni, oltre a essere molto magre, sono ricche di proteine ad alto valore biologico e di sali minerali, specie il potassio.

 

Razza

RazzaFoto di www.guidaallapesca.it

A Roma la chiamiamo arzilla, ma il nome completo e ufficiale è razza chiodata. È un pesce trapezoidale con le caratteristiche ali, che in realtà sono le pinne. Ha una coda lunga e piena di insidie, e il corpo è ricoperto da dentelli pungenti, fastidiosi quando la si pulisce. La razza si usa spellarla prima di cucinarla, ma è un'impresa non proprio agevole: va seguito il verso della pelle, ma se delegate la pulizia ai pescivendoli esperti, fate sicuramente prima. È un pesce magro e privo di lische, le sue carni sono tenaci, ideali per farne brodi o guazzetti.

 

Ricciola

RicciolaFoto di www.ilgiornaledeimarinai.it

È tra il pesce azzurro uno dei più pregiati ed è il più grande pesce della famiglia dei carangidi, potendo raggiungere i 2 metri di lunghezza. La colorazione varia molto in base all’età, gli adulti in genere hanno il dorso argenteo azzurro, con una linea longitudinale di colore oro e una barra bruna obliqua che attraversa l'occhio. Le carni di colore roseo sono ottime e compatte e il loro sapore ricorda quello del tonno.

 

San Pietro

San PietroFoto di www.chioggiapesca.it

La caratteristica principale del San Pietro sta nella macchia scura al centro del corpo: la leggenda narra sia stato San Pietro in persona a catturarlo con le mani, imprimendogli il tocco delle dita visibile ancora adesso. La bocca è grande e si protrae in avanti e la testa è dotata di numerose spine e protuberanze. Le sue carni pregiate sono molto saporite e tenere, poi è semplice da pulire grazie alle lische facilmente individuabili data la grandezza.

 

Sardina

 

SardineFoto di www.chioggiapesca.it

La sardina ha un corpo affusolato ma più alto e compresso lateralmente rispetto all'acciuga e sul ventre ha una fila di scaglie rigide e appuntite. Anche la testa è appuntita, con occhi piuttosto grandi e ricoperti da una palpebra adiposa. La bocca è grande ed è rivolta in alto, i denti sono minuscoli.

 

Scorfano

Scorfano

Si tratta di pesci da agguato, caratterizzati da una colorazione mimetica che consente loro di catturare le prede mantenendosi praticamente immobili; anche per questo la carne è di una tenerezza eccezionale. Il più grande è lo scorfano rosso, lungo fino a 50 cm, caratterizzato da una livrea rossa a chiazze brune e da numerose appendici carnose sotto la mandibola. Lo scorfano nero (protagonista del cacciucco), detto anche bruno o rascassa, è più piccolo del precedente, arriva fino a 25 cm di lunghezza, e ha una colorazione bruna a macchie nere. Infine lo scorfano di fondale (lunghezza massima 30 cm) si riconosce dal manto bruno-rossastro con fasce verticali incomplete verso la zona ventrale. In fase di pulitura, ma anche di pesca, bisogna prestare molta attenzione alle pinne dorsali e alle branchie, munite di spine che quando il pesce è vivo sono velenose.

 

Sgombro

SgombroFoto di www.guidaallapesca.it

Conosciuto anche come maccarello, lo sgombro ha un corpo allungato e affusolato, con bocca a punta e occhi grandi. La livrea presenta un dorso grigio-bluastro, che sfuma verso i fianchi fino a incontrare il ventre bianco argenteo. Dal dorso partono delle tigrature verticali nere e le pinne sono grigio-azzurre. Raggiunge eccezionalmente una lunghezza di 50 cm. Il grasso dello sgombro si altera facilmente, ancora più di quello di altri pesci azzurri; per questo la maggior parte del pescato è destinato alla conservazione.

 

Sogliola

Sogliola

Con il nome di sogliola si indica generalmente la specie Solea vulgaris, ovvero la sogliola comune: come tutti i pesci piatti, ha il lato cieco privo di pigmentazione e sul lato superiore una colorazione bruna e una caratteristica macchia nera sulla pinna pettorale destra. Il nome scientifico solea testimonia quanto già fosse apprezzata dai Romani, che la chiamavano solea Jovis, ovvero “sandalo di Giove” per l'eccellenza dei suoi filetti.

 

Tonno

Tonno

Foto di www.chioggiapesca.it

Esistono diverse varietà di tonno; quello pescato nel Mediterraneo è il tonno rosso. La carne è rossa (per via della quantità di emoglobina presente), molto pregiata e saporita, dato il contenuto di grasso piuttosto elevato. Caratteristiche che si ridimensionano nel tonno alalunga, che si distingue per il colore della carne più chiaro e il minor contenuto di grasso. La grandissima richiesta ha causato una preoccupante diminuzione degli esemplari; ecco spiegata la pesca regolamentata attraverso quote e periodi di fermo pesca.

 

Triglia

Triglia

Appartenenti alla famiglia Mullidae, di triglie sui banchi del mercato si trovano fondamentalmente due varietà: Mullus surmuletus (triglia di scoglio) e Mullus barbatus (triglia di fango). La prima è decisamente più saporita e pregiata. È caratterizzata da un dorso rossastro con sfumature che variano dal rosso al rosa, fino alle tinte del bruno e dell’arancio. Ha un corpo piuttosto allungato (la lunghezza si aggira intorno ai 20-25 cm), due pinne dorsali ben separate e sotto il muso ha due bargigli che servono per frugare il fondali e tra gli scogli alla ricerca del cibo.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Quali pesci preferire in estate nel versante Tirreno Nord. I consigli di: Enrico Marmo, Davide Cannavino e Valentino Cassanelli

Quali pesci preferire in estate nel versante Tirreno Centro. I consigli di: Luciano Zazzeri, Fulvietto Pierangelini e Gianfranco Pascucci

Quali pesci preferire in estate nel versante Tirreno Sud. I consigli di: Giorgio Scarselli, Rinaldo Merola e Martina Caruso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Franco Pepe e il menu funzionale. Cos'è la pizza mediterranea per il maestro di Caiazzo

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9 proposte in menu, frutto di uno studio per bilanciare macronutrienti e fibre e garantire il giusto apporto calorico (anche grazie alla riduzione della grammatura del panetto). È questa l'ultima idea del pizzaiolo di Caiazzo per spiegare che la pizza può essere un ottimo piatto unico. Capace di valorizzare la Dieta Mediterranea. 

 

Gli ambasciatori della Dieta mediterranea nel mondo sono quelle figure che, a vario titolo, si impegnano quotidianamente per affermare e promuovere i principi della Dieta mediterranea”. Così recita lo “statuto” del Museo Vivente della Dieta Mediterranea di Pioppi, lì dove, più di 50 anni fa Ancel Keys cominciò a teorizzare i benefici di un'alimentazione fondata sui prodotti e le consuetudini dei Paesi che affacciano sul Mare Nostrum. Franco Pepe è uno di loro, e il riconoscimento l'ha conquistato sul campo: maestro pizzaiolo tra i più apprezzati in Italia e nel mondo, da sempre procede per la sua strada, guardando alle potenzialità della sperimentazione su impasti e cotture, impegnandosi a valorizzare il territorio dov'è nato e cresciuto, indagando soluzioni sempre nuove da proporre ai clienti che numerosi raggiungono vicolo di San Giovanni Battista, dove il palazzetto della pizza di Pepe in Grani sta incuneato come un'oasi gastronomica che si rivela all'improvviso nel centro storico di Caiazzo. Di lui colpiscono il rigore e il senso di responsabilità con cui affronta il mestiere, anche quando sarebbe facile montarsi la testa. E quel candore che ancora lo porta a meravigliarsi del buono che si preoccupa personalmente di andare a scovare, di cui giustappunto si fa ambasciatore. Quando qualche mese fa, alla fine del 2017, Franco battezzava l'ultimo progetto nato tra le mura di Caiazzo – Autenthica, pizzeria nella pizzeria concentrata sullo scambio diretto con gli ospiti nella saletta ricavata all'ultimo piano – con poche parole riusciva a riassumere la motivazione che lo anima ogni giorno: “Il valore aggiunto al mio lavoro cerco di darglielo io, dobbiamo essere propositivi, la staticità è sintomo di poca passione ”.

 

Il menu della Pizza Mediterranea

E lui a stare fermo non ci pensa proprio. Così, alla vigilia dell'esordio di un nuovo menu intitolato alla Pizza Mediterranea (disponibile accanto al menu tradizionale di Pepe in Grani a partire da sabato 7 luglio), racconta orgoglioso il lavoro fatto sin qui con il supporto di una nutrizionista – Michelina Petrazzuoli – per dimostrare che la pizza non necessariamente dev'essere considerata uno strappo alla regola”, né demonizzata perché fa ingrassare. Anziprosegue Francopurché dietro ci sia l'attenzione del pizzaiolo a bilanciare tra loro macronutrienti e fibre, la pizza può essere un ottimo piatto unico, da consumare anche 2 o 3 volte alla settimana”. Ecco perché la nuova proposta si concentrerà su un insieme di pizze della casa ripensate per andare a comporre un menu funzionale,un'offerta di pizza ragionata, che spero rappresenterà il futuro. Con panetto di grammatura ridotta, da 200 grammi, sufficiente per garantire il giusto apporto calorico, ed ingredienti bilanciati per raggiungere l'equilibrio tra carboidrati, proteine e lipidi”. E fibre, che aiutano a equilibrare il carico glicemico e bilanciano l'assimilazione dei grassi. Per questo, insieme alla pizza “funzionale” potrebbe capitare di ricevere in tavola anche un piatto di contorno,un'insalata composta con le nostre erbe spontanee, laddove l'apporto di fibre della specifica pizza non fosse sufficiente per chiudere il cerchio”.

 

Mangiare bene, per stare bene

Dunque una proposta intelligente, e trasparente, raccontata al commensale con dovizia di particolari: Chi vorrà scegliere dal menu funzionale potrà consultare anche la tabella nutrizionale delle diverse pizze, l'elenco e le quantità degli ingredienti utilizzati. Sarà comunque un menu in evoluzione, per ora partiamo con 9 proposte”. Tra queste, anche una rivisitazione della classica marinara, che nasconde una bella storia:Quando con la nutrizionista abbiamo pensato di includere la marinara, sapevamo che non avrebbe garantito il giusto apporto proteico. Mi ha suggerito di aggiungere delle acciughe e il ricordo è andato subito a mio padre: quando ho lasciato l'attività di famiglia per aprire la mia pizzeria ho portato con me la marinara come la faceva lui, con 2 capperi e 2 acciughe in aggiunta alla ricetta tradizionale. Questo è un modo per riscoprirla”. Ma dal menu si può scegliere anche una Margherita (servita con insalata cruda di cicoria selvatica), la Mangiabufalo, la pizza con ceci delle Colline Caiatine, la Memento (con crema di cipolle di Alife, ceci, cicoria selvatica), l'aglio, olio e peperoncino (con sugna di maiale nero casertano, acciughe della Costiera e origano dell'alto casertano), la Viandante (con ricotta di bufala, pistacchi, mortadella e zest di limone). Nel piatto il disco è di dimensioni più contenute, al calice vengono abbinati i vini proposti dal sommelier Davide Guarino:Questo servizio rappresenta la mia idea di offerta a 360 gradi, non voglio fermarmi, anche questo è un modo per raccontare il mestiere del pizzaiolo da una prospettiva nuova”. Con un motto ben stampato in mente, “mangiare bene, per stare bene”. Ancel Keys docet. 

 

a cura di Livia Montagnoli

La “nuova” Pasticceria Besuschio di Abbiategrasso. Restyling per la storica insegna alle porte di Milano

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Dal 1845, recita orgoglioso il vessillo di famiglia, alla quinta generazione di maestri pasticceri che l'un l'altro si sono tramandati i segreti del mestiere nel laboratorio di piazza Marconi. Oggi alla guida dell'attività c'è Andrea Besuschio, grande innovatore pur nel rispetto della storia familiare. L'ultima scommessa riguarda il restyling del locale.

 

Besuschio dal 1845

Andrea Besuschio di anni ne ha 56, l'insegna di famiglia, però, vanta una storia ben più longeva, da più di 170 anni laboratorio di pasticceria alle porte di Milano. Besuschio oggi è un'attività all'altezza della fama che la precede: Andrea è la quinta generazione della dinastia di maestri pasticceri (dal 1845), ma all'arte dolciaria si è avvicinato solo intorno ai 30 anni, recuperando però senza indugi il tempo trascorso lontano dal laboratorio, affidandosi a grandi maestri e diventando a sua volta professionista di riferimento del settore. Ecco perché una sosta alla pasticceria di Abbiategrasso (Tre Torte sulla guida Pasticceri&Pasticcerie del Gambero Rosso) vale decisamente il viaggio. E adesso c'è un motivo in più per recarsi in avanscoperta al locale sotto i portici di piazza Marconi. Sì, perché la Pasticceria Besuschio si è rifatta il look, con un restyling che ha interessato nelle ultime settimane tanto gli spazi di produzione che quelli destinati alla vendita, su progetto dell'architetto Simone Colombo. L'obiettivo? Razionalizzare il laboratorio aggiornandolo sulle esigenze della pasticceria contemporanea e riorganizzare i locali aperti al pubblico, che già l'anno scorso avevano subito un primo ammodernamento, con l'apertura di due nuove sale dedicate al consumo sul posto.

La “nuova” pasticceria

Protagonisti ancora i banchi, per oltre 10 metri di lunghezza complessiva, dalla caffetteria ai comparti refrigerati per monoporzioni, dolci al cucchiaio, torte dalla geometria perfetta e colori sgargianti.

E poi gelati e granite, ma anche un nutrito reparto dedicato alle creazioni in cioccolato, tra praline e tavolette ripiene che esprimono la passione maturata nel periodo di frequentazione dell'Ecole du Grand Chocolat a Tain l'Hermitage, in Francia.

Così mentre lo spazio si rinnova senza trascurare la storia del luogo, la garanzia di qualità resta affidata alla rigida filosofia della casa, che privilegia stagionalità delle materie prime, creatività, tecnica, ospitalità premurosa (da Besuschio si può anche dormire, nelle due camere per gli ospiti al primo piano). Intanto a seguire le orme del papà ci pensa Giacomo, che in laboratorio ha cominciato a lavorare giovanissimo, e promette di valorizzare l'eredità di famiglia ancora a lungo. E guardare sempre al futuro è indubbiamente un'arma vincente. 

 

Besuschio – Abbiategrasso (MI) – piazza Marconi, 59

 

a cura di Livia Montagnoli

Iannotti Lab. Il laboratorio scientifico del Krèsios di Telese Terme

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Sono sempre d più gli strumenti ad alto tasso di tecnologia che si usano nei grandi ristoranti. Tanto che Giuseppe Iannotti ha costruito un laboratorio scientifico proprio sotto al suo Krèsios, dove fare esclusivamente sperimentazione e ricerca per il suo ristorante e non solo. Perché l'hi-tech gastronomico è più vicino di quanto si creda.

 

Iannotti Lab

È un luogo di condivisione” dice Giuseppe Iannotti per spiegare il nuovissimo Iannotti Lab. Uno spazio completamente disegnato da lui, accanto alla cantina, proprio sotto al Krèsius, di cui è destinato a diventare una costola di fondamentale rilievo pur restandone indipendente. “Per questo gli ho dato un nome diverso, per comunicare una testa sua e tutelare il ristorante”. Uno spazio ad alto tasso di tecnologia, come sempre più spesso si trova nelle cucine professionali (ne abbiamo parlato sul numero di luglio del Gambero Rosso) completamente a disposizione della tavola. Quella del Krèsios, ma non solo.

Foto: Marco Varoli

La filosofia

La filosofia alla base del Lab è quella che vede, nella sperimentazione e nella condivisione, il passaggio fondamentale per l'evoluzione. Di nuove idee, nuove tecniche, di nuove procedure e nuove soluzioni. Se non il primo, tra i primi ristoranti in Italia, ad avere uno spazio dedicato esclusivamente a ricerca e sviluppo. “Volevo un posto in cui mettere insieme tutti gli strumenti che uso. Mi serviva uno spazio fisico dove fossero a portata di mano”, pronti e disponibili all'uso, senza doverli spostare e montare ogni volta “se hai strumenti e macchine industriali devi farli funzionare” L'obiettivo del Lab è proprio legato alla sperimentazione, allo studio delle potenzialità di certa tecnologia, alla messa a punto di tecniche e procedure, prima che di ricette. Un laboratorio scientificoin cui smarcarsi dai ritmi imposti dal ristorante, fuori dalle esigenze della quotidianità, in cui godere del respiro lungo della ricerca. “Non ho ancora metabolizzato bene tutto” sorride “io prima costruisco, poi comincio a dare benzina”. Che significa anche individuare chi, tra i suoi collaboratori, si dedicherà alla ricerca a tempo pieno.

Giuseppe IannottiFoto: Marco Varoli

Condivisione

Mi piacerebbe che fosse un posto in cui sperimentare e lavorare insieme ad altri colleghi” spiega “e che gli amici chef venissero qui”, con l'idea di iniettare forza centripeta per portare il mondo a Telese “e non solo Telese nel mondo”.E il suo mondo è quello della cucina, gente che si trova due giorni a lavorare di brutto per sperimentare e unire il lavoro di uno con quello dell'altro. Del resto non basta avere macchinari avanzati per ottenere buoni risultati: bisogna anche saperli usare al meglio, conoscere i processi scientifici che sono alla base del suo utilizzo, svilupparne le potenzialità, individuarne e a volte prevedere gli sviluppi. Proprio per questo Igles Corelli, Coordinatore del Comitato Scientifico della scuola di formazione professionale della Città del gusto di Roma, ha deciso che era giunto il momento di attivare un corso specifico sull'uso di strumenti di avanguardia, dal titolo Chef Tech Pro.

Il luogo delle collaborazioni

Non penso a una programmazione precisa di incontri con i colleghi: ognuno si deve sentire libero di venire quando nasce la necessità, e non in obbligo” spiega, e aggiunge “con le forzature non si va da nessuna parte, se è una cosa imposta dura poco”. Ma intanto sta già organizzando i primi appuntamenti per lavorare con qualche collega, qualche giorno di studio fitto e poi una cena a 4 mani con piatti nati nel Lab, cose mai fatte prima. Ma non basta: questo è un posto dove approfondire anche aspetti legati alla sala o al lavoro dei barman, “o dove un artista interessato a fare un lavoro sul mondo del cibo può venire a studiare”, dove i brand possono avere risposte alle loro esigenze di studio di prodotti. Dove mettere a punto procedure e standardizzare ricette e processi - “in modo simile a quello che Niko Romito fa già nel suo lavoro” - per ogni consulenza, così da assicurare la riuscita sempre uguale di un piatto, a qualsiasi distanza da Telese Terme e chiunque sia la persona che lo realizza.

 

La struttura

Il Lab gira intorno a una super cucina costruita con Marrone (partner del progetto insieme a NCG - Next Cooking Generation di Gourmet Services) attrezzata di tutto punto: piastra-braciera, bollitore-stimmer a pressione, un forno Rational piccolino (da barca, dice), il waveco, la macchina di Gourmet Service che sfrutta le potenzialità degli ultrasuoni per fermentazioni spinte e maturazioni indotte, “di cui sono brand ambassador” e su cui, quindi, sta già sperimentando, e poi Gastrovac, distillatori, la OCOO, l'aggeggio coreano presentato recentemente in Europa dal team del Disfrutar di Barcellona, Oriol Castro & co, su cui Iannotti sta già lavorando da circa 4 anni. Tutti macchinari di cui abbiamo fatto un identikit nel Gambero Rosso di luglio, spiegandone impiego e costo. Ma Iannotti non si limita agli strumenti di cottura: “al Lab sto sperimentando un nuovo sistema di soffitto aspirante con lamina di acciaio prodotto da una azienda di Padova che lavora con un sistema particolare, è al momento è solo un prototipo ancora sotto brevetto per cui non posso dirti di più”.Strumenti che non è difficile immaginare anche nelle case, in un futuro non molto lontano, basti pensare che oggi un simil roner domestico costa meno di 50 euro e un abbattitore un migliaio, “se le persone cominciano ad avere seriamente un approccio più salutistico alla cucina, si diffonderanno molti di questi macchinari, del resto la OCOO non è uno strumento professionale, ma domestico”, e lo stesso vale per il Thermomix - il Bimby è nelle case da moltissimi anni - del sottovuoto o altri strumenti ormai alla portata di tutti. Nel Lab uno chef's table assicura a soli 4 ospiti una cena speciale, realizzata in questa cucina futuribile dedicata alla ricerca.

 

La pratica

Ma non c'è solo l'aspetto, come lo definisce lui ,“filosofico” della ricerca allo stato puro e della condivisione: ci deve essere anche un aspetto imprenditoriale per reggere il peso di uno spazio che, a domanda diretta, dice che gli è costato tantissimo, senza entrare nei dettagli ma ridendo significativamente. In questo progetto, sono fondamentali le aziende, proprio quelle produttrici dei macchinari che sta impiegando; ma ci tiene a chiarire: “nulla è stato regalato, magari ho avuto un condizioni economiche e un piano di rientro agevolati, ma ho comprato tutto”. Merito di un'attitudine alla sinergia e alle collaborazioni con altre realtà, perché se è vero che si tratta di un laboratorio di ricerca e sviluppo a tutti gli effetti, è pur sempre uno spazio privato che deve avere una sua sostenibilità: “va bene la filosofia, ma ci vuole anche la pratica”.

Dal Lab al Krèsios

Il Lab lavorerà a pieno ritmo per la messa a punto pratiche poi impiegate anche nei piatti dei menu alla cieca del Krèsios (intitolati, con cinefilo slancio, Mr Pink e Mr White), senza però diventarne protagonista: “non raccontiamo quasi mai quel che c'è dietro ai piatti, gli strumenti o le procedure nel dettaglio: non vogliamo tenere una lezione” spiega “ogni strumento o tecnica serve solo a ottenere un risultato migliore per gusto, texture, qualità del prodotto o tempi di realizzazione. Ma ovviamente” aggiunge“se qualcuno è interessato siamo pronti a spiegare ogni passaggio, o a far visitare il Lab, perché non voglio che sia un luogo per allontanare le persone ma per avvicinarle”, parte integrante del progetto Krèsios, che vuole essere, molto concretamente, un posto in cui fare una bella esperienza. Ma quali, tra i molti strumenti usati, hanno segnato un passaggio significativo nella cucina contemporanea? “Il Gastrovac è l'origine di tutto, ha cambiato il modo di vedere la cucina, lo uso per la parte delle proteine: carni e pesce. E poi ci sono gli ultrasuoni, anche loro stanno cambiando il modo di concepire la ricetta salvaguardando l'ambiente: secondo me è la cosa più innovativa oggi”. Su questo lavora tenendo un diario giornaliero, proprio come avviene nei laboratori scientifici “il Waveco lo uso soprattutto sui vegetali anche se nasce per fare frollature spinte. E pure la OCOO, con gli ultrasuoni posso fare canditure senza saccarosio o altri zuccheri, accelerano marinature e fermentazioni”. Nei menu del Krèsios entra nel trattamento dell'ananas su un dessert o nella lavorazione dei ceci, nel piatto che li vede abbinati ai ricci, “ne accelera l'idratazione e fa partire una leggera fermentazione, poi la uso per la cottura ridotta a soli 10-20 minuti, frullo e poi stabilizzo di nuovo”. Sterilizza dunque a freddo, “per stare tranquillo” dice lui. Ma questo metodo aumenta la shelf life di tre volte, un elemento che apre nuove frontiere alla lavorazione del cibo.

 

Potenzialità e sviluppi industriali

Così il laboratorio ultra avanzato di un ristorante d'alta cucina diventa anche un luogo di dialogo con l'industria alimentare. E non solo quelle produttrice di macchinari, che dagli chef hanno pressure test di alto livello, confronti sui funzionamenti e per la commercializzazione, ma anche con aziende alimentari e altre realtà che, per motivi e in modi diversi, necessitano di strutture professionali e altamente qualificate per mettere a punto prodotti e procedure. Basti pensare ai cibi conservati e semilavorati. L'industria alimentare, che lo vogliamo o no, è parte della vita di molti di noi: tutto quel che arriva sulle nostre tavole della cui produzione non ci occupiamo completamente in prima persona, è in qualche modo processato per ottimizzare la sua resa e conservabilità, la salubrità, il gusto, soprattutto nel caso di prodotti pronti al consumo. Mediante metodi e strumenti che vengono studiati in cucine-laboratorio come quella di Iannotti. E a questo mondo lo chef di Telese Terme guarda attentamente, consapevole che alta cucina e industria non sono in conflitto ma che, anzi, l'una può essere complice dell'altra a beneficio dei consumatori. Dunque pratica e filosofia, dice Iannotti. Che svela anche un progetto legato alle praline che sviluppando e che potrebbe essere una nuova startup “qualcosa di nuovo che non esiste sul mercato e che vorrei fare io” dice “ma non aggiungo altro...”.

 

Krèsios - Telese Terme (BN) - via San Giovanni, 59 - tel. 0824 940723 - http://www.kresios.it/

 

 

La Doc Roma adesso ha il suo Consorzio. Il debutto a 7 anni dal riconoscimento della denominazione

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Nel 2011 nasceva la Doc che porta il nome dell'Urbe: appena 35 ettari vitati allora, 235 oggi. Il presidente Galassini: “In sette anni abbiamo decuplicato la produzione. Adesso subito erga omnes e promozione”. 

Dalla denominazione al Consorzio

Il numero 7 è sempre stato particolarmente evocativo per la città di Roma. Non sembrerà, quindi, un caso che ci siano voluti proprio 7 anni per arrivare anche alla nascita del Consorzio della Doc Roma. Era il 2011 quando si teneva a battesimo la denominazione che porta il nome dell'Urbecon appena 35 ettari vitati. Oggi parliamo di una realtà da 235 ettari per 87 associati e una produzione di 500 mila bottiglie.

Sono fiero di poter rappresentare la Doc Roma e il suo consorzio a livello nazionaledice a Tre Bicchieri il neopresidente Tullio Galassini, già alla guida dell'associazione Produttori Vino Doc Roma. Abbiamo lavorato in questa direzione per tanti anni, quando nessuno credeva in noi e oggi abbiamo decuplicato la produzione, superando gli anni di crisi e arrivando ad un fatturato di 10 milioni di euro, senza dover abbassare i prezzi (oggi la forbice è compresa tra i 2,99 euro per le versioni base i 18 euro per le riserve; ndr). Il primo obiettivo? Ottenere l'erga omnes entro questa vendemmia, d'altronde rappresentiamo già l'87% dei produttori. Ma la costituzione del Consorzio ci consentirà anche di poter essere autosufficienti, avere un nostro bilancio e accedere ai fondi per la promozione” Anche perché - grazie anche al nome di forte appeal internazionale – è nei mercati esteri che finisce l'80% del prodotto. E di questo, il 50% nel Vecchio Continente. Ma si lavora anche verso i nuovi mercati, soprattutto in direzione asiatica.

 

I risultati di 7 anni di lavoro

Dal punto di vista produttivo, invece, il lavoro è già a metà strada, grazie al cambio del disciplinare che, negli anni scorsi, ha introdotto l'obbligo di imbottigliamento nella sola provincia di Roma e ha permesso di introdurre la versione amabile alle sette tipologie già previste. Oggi quella che fa i numeri più alti per produzione e fatturato è la versione Rossa della Doc, tant'è che siamo a un milione e mezzo di bottiglie. Il prodotto più sottoscorta è, invece, il Rosso riserva, di cui al momento produciamo solo 200 mila bottiglie. C'è, invece, da lavorare parecchio sui bianchi”. Ma non solo su quelli, ricorda Galassini:Dobbiamo rivedere la nostra immagine e puntare su una comunicazione non più aziendale, ma consortile, valorizzando soprattutto il legame con il territorio”. Intanto, sembra andare bene il già sperimentato rapporto con il Consorzio del Frascati, che è un po' il fratello maggiore del neonato Doc Roma: Con il Frascati” spiega il presidente “condividiamo non solo la sede, ma anche alcuni progetti di ricerca, come la selezione clonale per la Malvasia del Lazio. Inoltre, siamo convinti che anche in ambito promozionale, la collaborazione – e non la sovrapposizione - sia la strada migliore da seguire”. Il debutto ufficiale del Consorzio Doc Roma è previsto all'interno dell'Estate Romana, con una serie di eventi e degustazioni, su cui il nuovo CdA è già al lavoro.

 

a cura di Loredana Sottile


Con il Cuore nel Piatto 2018. Chef e artigiani insieme nella campagna laziale per beneficenza

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È ancora una volta il Ristorante degli Angeli di Magliano Sabina, Rieti, a ospitare la manifestazione Con il Cuore nel Piatto, evento di beneficenza che raduna cuochi, artigiani e professionisti del settore per combattere le patologie più difficili. 

 

L'iniziativa

Il progetto è di quelli da premiare per la voglia di fare bene e aiutare il prossimo, con entusiasmo rinnovato di anno in anno, ma in fondo le carte vincenti in tavola sono quelle semplici di ogni manifestazione gastronomica che si rispetti: un meeting amichevole tra colleghi che lavorano ogni giorno in e con la cucina, chef, artigiani, produttori, addetti ai lavori che vogliono cimentarsi con una sfida sempre più ambiziosa. Per il quinto anno consecutivo, il 12 luglio, torna Con il Cuore nel Piatto, evento dell'omonima associazione nata per volontà di LauraMarciani, la chef del Ristorante degli Angeli di Magliano Sabina, Rieti, una cucina del territorio gustosa e succulenta e uno spazio adiacente per la bottega, originariamente luogo di ristoro fronte strada. Insieme a MichelePapagno, chef ambassador del pastificio Rustichella d'Abruzzo, cinque anni fa la cuoca ha contattato altri professionisti del settore (DavidedelDuca, RobertoCampitelli, MarcoClaroni) creando una rete unica di esperti impegnati nella creazione di una cena di beneficenza a più mani.

Il progetto di beneficenza

Quest'anno l'intero incasso della serata (60 euro a persona) sarà devoluto al Centro Clinico NeMO (Neuro Muscolar Omnicentre), specializzato nella cura di patologie come la SLA, le distrofie muscolari e la SMA (Atrofia Muscolare Spinale). Oltre al menu ricercato, l'evento si arricchisce di tante novità, dando spazio anche ad artisti di ogni tipo, dal sassofonista Tiziano Matera, che aprirà le danze a ritmo di jazz, all'attore Corrado Oddi, che reciterà Belli e Trilussa, senza dimenticare il maestro Pericle Odierna, al pianoforte, e la musica del dj Ivan Cap. Presente anche il mondo dell'arte, con le stampe d'autore dedicate al cibo di SLURP, che potranno essere acquistate durante il festival (anche in questo caso, il ricavato sarà destinato al progetto di ricerca). Ci sarà poi Arianna Greco, che realizzerà un'opera di art'enoica, ovvero la pittura con il vino, a conferma del profondo legame che da sempre unisce l'arte alla tavola.

Il programma

L'edizione segna poi un nuovo inizio, un riconoscimento per un collega, il premio “Cuoco del Cuore”, assegnato quest'anno alla chef VeliaDeSantis. Fra i partecipanti alla serata, MarcoClaronidell'Osteria dell'Orologio di Fiumicino, GiovanniCappellide Le Tamerici di Roma, MarcoDavidi Perbacco, Aprilia, IsidedeCesarede La Parolina di Trevinano, AndreaDolciottidi Pigneto 1870 a Roma, AntonioGentiledel Red Fish di Ostia, GianfrancoPascuccidi Pascucci al Porticciolo, MauroSecondidi Pastificio Secondi, AnnaritaSimoncinidi Sette Consoli di Orvieto, FabioVerrellidi Materiaprima Osteria Contemporanea di Pontinia e molti altri ancora. Infine, le dimostrazioni di pasta fresca di Angela Fiorini di Meraviglie in Pasta, che trascorrerà la serata a preparare ravioli, tagliatelle e tante altre specialità, acquistabili con una piccola offerta per l'associazione, e le degustazioni di oli – uno dei punti forte del Ristorante degli Angeli, che negli anni ha costruito una carta degli oli ampia e curata – insieme a Simona Cognoli di Oleonauta, volto ormai immancabile in qualsiasi manifestazione che coinvolga anche l'oro verde, che aiuterà gli chef ad abbinare il migliore extravergine ai loro piatti.

Costo della serata: 60 euro a persona. Per prenotarsi, effettuare un bonifico a Con il Cuore nel Piatto (iban: IT14L0200873670000104314974), indicando nella causale nome, cognome, un recapito telefonico e il numero di persone per cui si intende prenotare. Per attivare la prenotazione occorre inviare la ricevuta del bonifico all'indirizzo: conilcuorenelpiatto2018@gmail.com. Si possono acquistare i biglietti in pre-vendita presso i ristoranti degli Chef partecipanti.

Con il Cuore nel Piatto – Magliano Sabina (RI) – Ristorante degli Angeli, Vocabolo Madonna degli Angeli, 1 – 12 luglio, ore 20.00 - www.facebook.com/events/2007693902596770/

a cura di Michela Becchi

Dove mangiano gli chef in vacanza. I ristorante del cuore di Mario Sposito e Matteo Metullio

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Durante le vacanza estive, fra visite ai musei ed escursioni, è sempre l'ora giusta per godersi un buon pasto, soprattutto se circondati da panorami incantevoli. Dove? Ecco le insegne consigliate da Mario Sposito e Matteo Metullio. 

 

 

Continua il nostro viaggio per lo Stivale alla ricerca dei ristoranti migliori al mare o in montagna, grazie alle preziose indicazione degli addetti ai lavori. Ancora una volta, due punti estremi della Penisola: a Nord, Matteo Metullio, giovane chef triestino alla guida della cucina de La Siriola dell'Hotel Ciasa Salares a Bolzano, che ci consiglia quattro insegne diverse; a Sud, Mario Sposito, che dopo una laurea a Londra e un diploma da sommelier, è tornato a casa, da Taverna Estia a Brusciano, Napoli, per orchestrare con garbo e competenza la sala e gli aspetti gestionali dell'attività di famiglia.

Mangiare ad alta quota

Per gli amanti della montagna, non c'è niente di meglio di un pasto corroborante in un rifugio, fra i sapori netti e decisi della selvaggina e tutti i profumi delle erbe selvatiche della natura circostante. Che sia estate o inverno, in Alta Badia è il Rifugio Scotoni, a San Cassiano, nel Parco Naturale Fanes-Sennes-Braie, il punto di riferimento per gli amanti del gusto. “È noto per la qualità della carne: le grigliate sono strepitose, poi c'è una carta dei vini contenuta ma curata, con qualche etichetta di nicchia, vini naturali di livello e selezioni particolari”. L'atmosfera è quella tipica dei rifugi, tutti pietra e legno, con ingredienti del territorio e gusti autentici, e la possibilità di dormire. D'estate è ancora più affollato grazie alla presenza di un piccolo parco giochi per bambini e un recinto per gli alpaca, mentre d'inverno è il luogo perfetto per tutti gli sciatori affamati.

Nella laguna: Venezia

Dalla montagna alla laguna, passando a una trattoria veneziana semplice e gustosa, una cucina di pesce nella località di Compalto, a Venezia, da tempo considerata covo di ristoranti turistici di bassa qualità, ma in realtà custode di indirizzi interessanti e tavole golose.“Le ricette sono molto essenziali, senza fronzoli, ma fatte di materie prime eccezionali, un pesce freschissimo che stupisce ogni volta. A mio avviso, il ristorante di pesce più buono della città”. Trattoria Al Passo è un'attività di famiglia attiva da oltre 70 anni, arredata con gusto nella sala-veranda così come nello spazio interno, giocato sui colori e le forme del mare. Crudi, grigliate, fritti misti e tanti primi piatti dal sapore iodato sono la firma inconfondibile della trattoria.

Nelle città portuali: Trieste

Triestino doc, quando ha un po' di tempo libero, Matteo non rinuncia a una gita nella sua città, dove va a rilassarsi da Harry's Piccolo Restaurant & Bistrot, proprio in Piazza Unità d'Italia, con vista mare: “La formula è quella del bistrot a pranzo e ristorante la sera: a cena, piatti più ricercati ed elaborati con tecnica ineccepibile e grande manualità; a pranzo, proposte semplici ma sempre raffinate, con prodotti di prima scelta”. Un luogo intimo dall'offerta dinamica, con un menu in continuo movimento, tra piatti di pesce e carne ben eseguiti e una carta dei vini di ampio respiro.

Ristoranti d'albergo a Forte dei Marmi

Scendiamo verso il Centro Italia, fino ad approdare sulla costa toscana, a FortedeiMarmi, una località gastronomicamente molto attiva e ricca, che abbiamo già avuto modo di analizzare la scorsa volta insieme ad Andrea Papa. Qui, Matteo consiglia La Magnolia dell'Hotel Byron, per un pasto in giardino a bordo piscina all'insegna del relax. Ai fornelli, Cristoforo Trapani, “un amico di vecchia data e collega che stimo moltissimo”, chef campano che si è affermato puntando a una cucina d'autore che punta su ingredienti di livello che vanno dall'anguilla alle erbe di campo. Fiore all'occhiello del menu, la pasta secca, a cui Cristoforo ha sempre dedicato un'attenzione particolare, realizzando piatti ricercati anche nella versione dolce.

Il mare d'Abruzzo

Rimaniamo sulla costa centrale, ma spostandoci dall'altro lato, sul versante Adriatico. Più precisamente, in Abruzzo, sulla splendida Costa dei Trabocchi, un tratto di litorale che va da Ortona a San Salvo e che negli ultimi anni ha iniziato a destare sempre più l'attenzione degli appassionati gastronomi, grazie a una serie di indirizzi notevoli e una cucina dai sapori schietti e sinceri. Mario Sposito, molto legato alla terra abruzzese, ha scelto L'Angolino da Filippo a San Vito Chietino, insegna storica che “ha un grande potenziale, un'ottima materia prima e una cornice splendida”, come meta prediletta per le vacanze. Da sempre punto di ritrovo per tutti turisti e abitanti in cerca di piatti classici in un ambiente caratteristico, il ristorante ha come punto di forza anche il servizio cordiale e accogliente.

L'Abruzzo dell'entroterra

Ancora in Abruzzo, ma stavolta nella provincia dell'Aquila, nel bellissimo borgo di Pescocostanzo: “Mi piace molto La Corniola, il locale perfetto dove rilassarsi e mangiare bene in un contesto semplice e familiare”. Un indirizzo che coniuga tratti rustici ed eleganti, con l'ambiente tipico di montagna, tra pareti in pietra e pavimento in cotto, e una cucina solida fortemente legata alla tradizione abruzzese, ma interpretata con estro e creatività. Ricette storiche, dunque, ma alleggerite e proposte in una nuova veste, sempre con i prodotti del territorio protagonisti. Abbinamenti convincenti e mano precisa emergono in ogni piatto, dai primi ai secondi, da ordinare alla carta o gustare in uno dei tanti menu degustazione a disposizione.

In Campania, la semplicità nel piatto

Concludiamo il tour tornando nella terra di Mario, la Campania. Tanti i ristoranti del cuore, ma uno fra tutti si distingue per la bontà dei prodotti e delle ricette: è Maria Grazia, “un locale che non ha bisogno di molte presentazioni, fra i più apprezzati in zona”, indirizzo di qualità a Massa Lubrense, Napoli, nato nel 1901 ed evolutosi nel tempo mantenendo sempre il carattere autentico degli inizi. Scialatielli, involtini di melanzane, peperoni ripieni, alici marinate, provola e pomodori, frittura di calamari: i sapori sono quelli semplici della terra e del mare della Campania, che in questa tavola si incontrano da sempre in perfetta armonia. “Per chi volesse assaggiare la vera cucina campana, questo è il ristorante giusto”.

a cura di Michela Becchi

GLI INDIRIZZI

L'Angolino da Filippo – San Vito Chietino (CH) – loc. Marina via Sangritana, 1 – 087261632 -

La Corniola – Pescocostanzo (AQ) – via dei Mastri Lombardi, 24 – 0864642470 – www.lacorniola.com

Harry's Piccolo Bistrot – Trieste – Piazza Unità d'Italia, 2 - 040660606
 - www.harrystrieste.it/it/

La Magnolia dell'Hotel Byron – Forte dei Marmi (LU) – 0584787052 – www.hotelbyron.net

Maria Grazia – Massa Lubrense (NA) – loc. Marina del Cantone via Cantone, 65 – 0818081011 – www.ristorantemariagrazia.come

Rifugio Scotoni – San Cassiano (BZ) – Alpe Lagazuoi, 2 - 0471847330 - www.scotoni.it/it/

Trattoria Al Passo – Venezia – loc. Campalto via Passo Campalto, 118 - 041900470 - www.facebook.com/pages/Trattoria-Al-Passo/138168179562453

GLI CHEF

La Siriola dell'Hotel Ciasa Salares – San Cassiano (BZ) – fraz. Armentarola s.da Pre de Vì, 31 – 0471849445 – www.ciasasalares.it

Taverna Estia – Brusciano (NA) – via G. de Ruggiero, 108 – 0815199633 – www.tavernaestia.it

Ristoranti su Facebook: come si comportano i locali italiani nel mondo del web

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Social media e siti web sono fondamentali per un ristorante, per farsi conoscere e apprezzare da un pubblico sempre più ampio. O no? L'indagine sul rapporto ristorazione/web mostra dati piuttosto negativi. Ecco qual è la situazione in Italia. 

 

La ristorazione al tempo dei social

Era il 2 agosto del 2016 quando Instagram lanciò Instagram Stories, con l’obbiettivo di impensierire Snapchat, pericoloso competitor di Facebook (che di Instagram è proprietario) decisamente più apprezzato dai millennials. Entrambi, infatti, permettono di pubblicare contenuti, foto o video, che vivono solo per 24 ore e poi svaniscono nel nulla. Dell'importanza di questo strumento – così come degli altri social network – per un ristorante, ve ne avevamo già parlato qui. Stories a parte, del ruolo determinante che le piattaforme social giocano per un'impresa ristorativa oggi, ormai, dovrebbe esserne anche superfluo parlarne.

I siti web dei ristoranti

Eppure, stando all'indagine da poco pubblicato da The Italian Data Flavour, il primo report sul livello di digitalizzazione della ristorazione di qualità e dei consorzi di tutela, realizzato da Fiera Bolzano e Noonic, l'argomento non è poi così scontato. Anzi, il quadro emerso dall'anteprima presentata lo scorso 5 luglio a Venezia, è tutt'altro che positivo. Solo il 24% dei ristoranti di alta cucina aggiorna regolarmente il proprio profilo Facebook e solo la metà dei 356 ristoranti con una Stella Michelin presi in considerazione e dei 273 consorzi di tutela sa realmente far funzionare il sito internet. Un problema, dunque, che non riguarda strettamente i social, ma tutto il mondo 2.0, sito compreso. Del 98% dei ristoranti con sito web, è solo il 73% ad avere anche una versione inglese (essenziale per i tanti visitatori stranieri in cerca della migliore cucina italiana, fra le principali risorse del turismo nazionale).

L'indicizzazione

Soprattutto, solo il 50% dei siti rispetta gli standard minimi Seo, termine ormai entrato all'ordine del giorno che sta per Search Engine Optimization, ovvero una sere di procedure che consentono di essere rintracciati nell'ampio universo del web. Chiunque lavori con una piattaforma online – blog, sito, forum – lo sa bene: la parola d'ordine è meta dascription, ovvero una breve descrizione che permette ancora una volta di essere ben “indicizzati”, e quindi trovati facilmente durante la navigazione. Un elemento imprescindibile, che manca al 73% dei ristoranti presi in esame. Altro tassello fondamentale: i tag. Delle parole chiave in grado di descrivere l'oggetto (in questo caso il ristorante) rendendo così possibile la ricerca agli utenti (per fare un esempio: in questo caso, fra le parole chiave dovranno comparire sicuramente i termini “cibo” “cucina tipica” “ristorante” “mangiare” e via dicendo). E considerando che 4 persone su 5 indagano su internet prima di selezionare il locale dove andare a cena, leggendo recensioni e commenti di altri utenti, tag, meta description e simili sono degli elementi chiave che non possono essere dimenticati.

I social media

Se il rapporto ristorante/web è infelice, ancora di più lo è quello con i social media. Presente l'83% dei locali su Facebook, solo il 52% su Instagram e appena il 26% su Twitter (e la maggior parte dei profili sono aggiornati con scarsa regolarità). Secondo le ricerche di Hubspot e Forbes, invece, bisognerebbe postare almeno circa 2-3 volte a settimana, per avere un numero più alto di click per post. Pressoché identica la situazione dei consorzi, molti inesistenti sul web, il33% senza una pagina Facebook e solo il 45% dei portali con versione inglese. Per analizzare i dati, il gruppo di ricerca ha fatto affidamento sulle recensioni di TripAdvisor e Social Insider, uno strumento che offre la possibilità di comparare tra loro pagine di diversi social, da Facebook a Twitter, e attraverso le quali estrapolare informazioni circa il numero e la crescita di follower nel tempo.

Un'istantanea non troppo rassicurante, ma che ci auguriamo possa essere di stimolo ai tanti (straordinari) ristoratori italiani per spopolare ancora di più, in Italia così come all'estero. Anche perché, come ha ricordato Nicola Possagnolo, food advisor e digital strategist di Noonic durante la presentazione, “in un mondo sempre più connesso, quando parliamo di ristorazione, soprattutto di quella stellata e censita dalle principali guide gastronomiche, è inevitabile ormai far subito riferimento alla sua presenza nel digitale”.

a cura di Michela Becchi

Hi-Tech. Tutti i macchinari in arrivo nelle grandi cucine

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In Italia abbiamo perso qualche anno per far entrare le nuove tecnologie in cucina, ma le aziende leader che le producono sono molto italiane. Ecco un'anticipazione dell'indagine sull'Hi-Tech in arrivo nelle grandi cucine, che potete trovare integrale nel numero di luglio del Gambero Rosso.

 

La cucina tradizionale deve confrontarsi con il nuovo che permette di evitare errori, di risparmiare tempo, di avere meno sprechi e di utilizzare diversamente i dipendenti. Ma come si usano e a che servono queste macchine? Gambero Rosso Academy lancia Chef Tech Pro, il primo corso completo su tutte le tecnologie innovative esistenti.

La tecnologia in cucina. Disegno di Finnano Fenno

RoboQbo, Waveco, Wavecgap, Gastrovac, ultrasuoni, Roner, Rowzer, Pacojet, azoto, OCOO... Sono lontanissimi i tempi in cui la cucina erano quattro fornelli e un forno, una griglia e qualche set di padelle. Ormai il “simil Roner” te lo tirano dietro sugli e-commerce e al discount il fornetto per la CBT (cottura a bassa temperatura, sottovuoto) viene via a 39 euro e 99. Anche l'abbattitore, un tempo inarrivabile accessorio professionale, ormai lo installi nella tua cucina con poco più di mille euro e a breve sarà uno scomparto del frigo. In questo quadro le questioni non mancano, ad esempio: se tutta la tecnologia delle cucine dei ristoranti ormai sta anche nelle cucine delle case, nei ristoranti cosa c’è? Che tipo di ulteriore evoluzione stanno ospitando? E poi tutta questa tecnologia alla portata del comune appassionato serve per fare cosa? E qui cominciano le discussioni e le dispute: tecnologia sì tecnologia no...

La tecnologia in cucina.Disegno di Finnano Fenno

Tradizione vs. Sperimentazione

In questa diatriba, sul filo del purismo tradizionale e sul fronte della sperimentazione e dell'innovazione a tutti i costi, è difficile trovare un equilibrio. La prima esigenza sarebbe comunque la formazione: oggi per fare il cuoco occorrerebbe la conoscenza degli strumenti a disposizione e di come (e perché) si utilizzano. Eppure nei laboratori di un Istituto Alberghiero è difficile anche trovare un Pacojet, il super-frullatore-omogeneizzatore che addirittura intorno alla metà degli anni '80 al mitico ristorante Trigabolo di Argenta Igles Corelli fece conoscere al giovane Ferran Adrià. E mentre in Spagna le scuole si sono in gran parte attrezzate sul fronte della modernità, in Italia – nonostante la gran parte della tecnologia e dei macchinari più avanzati siano prodotti nei nostri distretti industriali – si fatica a investire sul futuro della ristorazione e della cucina.

La tecnologia in cucina. Disegno di Finnano Fenno

Come diceva Paolo Marchi (fondatore di Identità Golose) nello scorso numero del Gambero Rosso a proposito delle occasioni mancate della cucina italiana, “mentre moda e design made in Italy sono stati capaci di avere uno sviluppo industriale, la cucina è rimasta al palo”. Ed è proprio Corelli a raccontare un episodio che rende l'idea di come da noi si viva l'esperienza tecnologica. “Purtroppo, tutti si stupiscono davanti a spume e arie, ma poi nessuno guarda al cuore del fenomeno. Ero al congresso gastronomico Le Strade della Mozzarella di Paestum 4-5 anni fa – racconta lo chef romagnolo – e feci un intervento sull'affumicatura della mozzarella di bufala con il Gastrovac: una tecnologia che in pochi minuti permetteva di avere una prodotto affumicato senza cambiargli colore e senza avere i contaminanti del fuoco di paglia che normalmente si utilizza. Nessuno ha capito quel processo. Idem per l'azoto: costa 1 euro al litro, si usa per fare gelati istantanei dal vivo e fumi decorativi... Ma si può usare anche per conservare intatte ibernandole le erbe aromatiche che basta poi sfregare in mano per dosarle sul cibo... E oggi siamo arrivati al Waveco: lo strumento che permette grazie a sottovuoto e ultrasuoni di avere in mezz'ora la frollatura di una bistecca che normalmente richiederebbe 40 giorni! La tecnologia però – avverte lo chef – non è solo macchine: per fare prodotti di qualità serve conoscere sì l’uso degli strumenti, ma anche i meccanismi scientifici che sono dietro alla trasformazione della materie e alle diverse cotture. Per questo ho deciso di accettare la sfida della nuova scuola di cucina avanzata alla Gambero Rosso Academy, la prima in Italia: un cuoco guida all’uso degli strumenti all’avanguardia in funzione dei piatti che si vogliono fare, il tecnologo dà informazioni sull’effetto della tecnologia sugli ingredienti, uno scienziato spiega i processi fisici e chimici. Così è possibile avere tutti gli strumenti e la consapevolezza che servono per agire in libertà e autonomia”.

Torniamo però al tema di cui sopra: tradizione o innovazione? Tutta questa tecnologia stravolge l'identità della cucina italiana? Abbiamo affrontato l'annoso dibattito nel numero di luglio del Gambero Rosso.

 

a cura di Stefano Polacchi

disegni di Finnano Fenno

 

QUESTO È NULLA...

Nel numero di luglio del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate l'indagine completa con i pareri degli chef Viviana Varese, Niko Romito,Terry Giacomello, Anthony Genovese, Giuseppe Iannotti. E degli esperti: il docente di tecnologia degli alimenti all’Università di Firenze Guido Mori, Giuseppe Maravasi (suo è il RoboQbo), il direttore di Gourmet Service Riccardo Capannelli, l’ingegnere Daniele Di Clerico che lavora in NCG e il capitano dell’Equipe di Alta Cucina della regione Toscana Fabio Bianconi. Un servizio di 11 pagine che comprende anche un glossarietto con le macchine e le tecniche più utilizzate e un decalogo del cuoco tecnologico stilato dal professore Gabriele Mori.

 

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Come si mangia al Kanal Street Food Market di Bruxelles, la food hall del nuovo Centre Pompidou

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Ancora non sono partiti i lavori, ma il Kanal-Centre Pompidou è già in piena attività, con esposizioni temporanee negli spazi ancora da ristrutturare, uno shop e una food hall perfettamente funzionante.

 

Quando aprirà, nel 2022, il polo museale – tra i più importanti in Europa - conterà 38 mila metri quadrati, alloggiati negli spazi che erano di una sconfinata officina di automobili familiarmente chiamati Garage Citroen, destinati ad accogliere il Museo di Arte Moderna e Contemporanea, le collezioni di architettura e urbanistica della Fondazione Civa, concerti e spettacoli, con un auditorium da 400 posti. Questo tra quattro anni. Ma anche oggi, a pochi mesi dalla sigla dell'accordo, il Kanal-Centre Pompidou sta già cambiando le coordinate cittadine attirando interesse e visitatori in un quartiere in piena riqualificazione.

L'ingresso del Kanal-Centre Pompidou

 

È l’année de préfiguration, quello della transizione verso la realizzazione del nuovo Centre Pompidou di Bruxelles, non il primo fuori dalla Ville Lumière. Perché già dal 2010 si inseguono filiazioni da una parte all'altra del mondo in piena concordanza con quanto avviene anche per altre istituzioni museali francesi (e il recente Louvre di Abu Dhabi ne è prova provata). Insomma: siglato a fine 2017 l'accordo tra il Beaubourg e la città di Bruxelles per avere marchio ed expertise, oltre che opere in prestito (circa 300) e consulenza per la creazione di una collezione propria, non si è perso tempo. In attesa di giugno 2019, quando comincerà la ristrutturazione firmata da noAarchitecten (Bruxelles), EM2N (Zurigo) e Sergison-Bates (Londra), lo spazio è aperto alla città con iniziative ed esposizioni pensate per far familiarizzare con la struttura e far scoprire, gradualmente, questo edificio pieno di luce, alto 21 metri, fino a oggi dismesso.

kanalL'oopera di Tinguely 

Food Market

In questa cattedrale oggi ci sono installazioni e sculture (come quella enorme di Tinguely all'ingresso), impalcature, pareti in lamiera e strutture provvisorie. E un gran fervore per dare, nel migliore dei modi, un assaggio di quel che sarà il Kanal. E sarà un luogo aperto alla città, con aree per eventi, uno shop con produzioni di creativi belgi, e uno spazio ristorativo. O meglio, già lo è: uno street food market da subito frequentatissimo tanto che, in un giorno feriale di inizio estate, a meno di un mese dall'apertura al pubblico, gran parte dei tavoli sono occupati durante l'ora di pranzo. Giovani e meno giovani, studenti, impiegati degli uffici vicini, gente in vacanza, pensionati, operai del cantiere o addetti del museo.

 

Tutti accomodati su tavolini e sedie di recupero “quelle delle scuole belghe”, ci dice Gonzague, insieme a Charles, Thomas e Joachim autore della food hall del Kanal. Apertamente ispirata ai grandi mercati coperti visti in giro per il mondo, declinata come uno street food market, volutamente semplice negli arredi: è pur sempre il ristorante di un cantiere dentro una ex fabbrica, e questa identità industriale non si vuole in nessun modo tradire. Il primo spazio del genere della capitale belga. A firmarlo il quartetto di giovani freschi di università.

Universitari alla carica

Charles e Gonzague studiano il panorama di questo genere di mercati nell'ultimo anno di master alla Solvay, la facoltà di economia e management di Bruxelles. L'obiettivo è aprirne uno così in città. Capiscono che il successo di questi market è legato alla libertà che offrono, di gironzolare tra stand, assaggiare cose anche diverse tra di loro, parlare con i produttori e avere un contatto ravvicinato con chi il cibo lo produce. Dopo la laurea continuano a lavorare sul progetto, accolgono nel team un architetto e un designer; rispondono a un bando della regione e del Kanal Pompidou e lo vincono. Così nasce il Kanal Street Food Market, una sorta di mercato gastronomico, con 7 diverse aree, ognuna versa una quota a Gonzague & friends, che a loro volta pagano un affitto al museo. Feschi di università, i 4 non avevanoesperienze pregresse nel food, solo Gonzague ha alle spalle l'organizzazione di alcuni eventi in cui ha risolto la parte relativa all'offerta gastronomica portando dei food truck. Ma nulla a che vedere con questo. Che è uno spazio provvisorio destinato a diventare permanente. “Rimarremo qui per circa un anno”, ovvero fino alla chiusura del temporary museum, quando cominceranno i lavori veri e propri di ristrutturazione e loro si sposteranno in un'altra parte della città, per poi tornare all'apertura ufficiale del Museo. Come sono stati scelti i 7 stand presenti? “Abbiamo seguito tre criteri: che fossero realtà poco note, che fossero locali e che avessero la capacità di personalizzare i loro spazi”. Per quanto riguarda l'aspetto più prettamente gastronomico, invece, si sono avvalsi del supporto di un amico, chef di uno dei locali di punta di Saint Gilles, quartiere in forte gentrificazione.

Chi sono i vostri clienti?

Difficile dirlo con precisione oggi” risponde Gonzague “abbiamo aperto da poco, inoltre l'offerta è così diversificata che credo lo siano anche i nostri clienti”. E infatti nell'area food, immediatamente alla destra dopo l'ingresso del grande edificio, ci sono Wild,dentro una roulotte vintage che offre cucina contemporanea belga, croque madame & affini, un ampio bancone bar, e 4 piccoli box tagliati direttamente nelle pareti di lamiera originali della fabbrica: Pistola, per hamburger vari, Ô Banh Mì: street food coreano, Poke Ceviche con una proposta hawaiana di ricche e colorate insalate, Las chicas del tramvia con tacos & nachos e un bar à vin aperto solo la sera, quando lo spazio si anima e accoglie talvolta anche musica e iniziative di vario genere, tra poco anche nello spazio estero, una terrazza affacciata sul canale attrezzata con sdraio e altri arredi molto easy going. In quello stile che invita al relax e all'operosità, in cui gente che chiacchiera tranquillamente si trova gomito a gomito con chi, latpop alla mano, lavora sodo. Come Gonzague, che trovate facilmente seduto a uno dei tavoli del market.

 

 

Kanal – Centre Pompidou - Belgio – Bruxelles - Quai des Péniches, 1000 - http://www.kanal.brussels

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

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