Quantcast
Channel: Gambero Rosso
Viewing all 4936 articles
Browse latest View live

I consigli dell'oste. Sergio Circella della Brinca e i prodotti dell'Azienda Agricola Rue de Zerli

$
0
0

Un viaggio alla scoperta di prodotti e produttori selezionati dagli osti più bravi d'Italia, premiati dalla nostra guida Ristoranti d'Italia 2017 con i Tre Gamberi. È la volta dell'Azienda Agricola Rue de Zerli, suggerita dal patron della Brica, a Ne in provincia di Genova, Sergio Circella.

Si potrebbero definire le banche dati della cucina tradizionale, ma anche dell'eccellenza contadina, o di quei piccoli e grandi produttori che continuano a tutelare e dare vita a vere chicche gastronomiche con passione e dedizione. Sono gli osti, che con umiltà nel cuore fanno una continua attività di scouting, scoprendo di volta in volta il norcino del paese affianco, il casaro di zona o quel piccolo produttore di olio che fa le cose per bene.

Sergio Circella della trattoria La Brinca

Sono sparsi qua e là per la Penisola e rappresentano dei fari preziosi per orientarsi nel mondo volubile della ristorazione. E non indicano solo direzioni ma sono vere e proprie officine dove dirigersi per imparare di cucina e di tradizioni, e uscirne arricchiti. Uno di questi si trova nell’entroterra del Tigullio, tra boschi di pini e castagni, con i bellissimi uliveti a delimitare i pendii. Parliamo della trattoria e caneva con fùndego da vin (cioè osteria con bottega e cantina come si usava dire una volta) La Brinca, alla quale si arriva lasciandosi il mare alle spalle e dopo aver percorso un tratto di strada che salendo sulla collina offre un panorama sul territorio. Meta obbligata per chi vuole saggiare l'eccellenza della cucina contadina fedele alla tradizione della Val Graveglia. Quella stessa tradizione di cui il patron Sergio Circella si fa portavoce, avendo dedicato la propria vita alla ricerca della ricetta perfetta o del produttore fidato. “Voglio parlarvi di una piccolissima azienda agricola nel nostro comune: si chiama Rue de Zerli”.

Rue in genovese significa quercia, a indicare l'imponente albero che si trova a pochi minuti dall'agriturismo. “È portata avanti da una signora che ha rilevato l'azienda agricola di famiglia, mantenendo la filosofia delle aziende di una volta, in cui si faceva un po' di tutto. E che sono diventate negli anni un patrimonio unico e raro, volto alla salvaguardia del territorio”. Alla Rue si produce olio extravergine d'oliva e vino, ma anche farina di castagne raccolte a mano nel loro castagneto, ed essiccate a fuoco lento nell'essiccatoio di casa. Con questa, Sergio, fa degli ottimi gnocchi al pesto “preparato solo al mortaio”, la Panella, castagnaccio salato e aromatizzato con il finocchietto selvatico, o il Pan Martin, pane che si abbina benissimo ai salumi tipici. “Poi si coltivano gli ortaggi come la patata quarantina bianca genovese e la cipolla rossa di Zerli, con i quali realizziamo la Baciocca, la cui origine è contesa da alcuni paesi delle vicine Valli Sturla e Taro, e che nel tempo è divenuta una delle torte salate più apprezzate del nostro entroterra”.

{gallery}La Brinca{/gallery}

L'Azienda Agricola Rue de Zerli

Azienda di famiglia tramandata di generazione in generazione, la Rue de Zerli è stata rilevata nel 1992 dalla tuttofare Franca Damico,che ha fatto tesoro degli insegnamenti dei suoi, come il metodo di coltivazione della terra strutturata nei tipici terrazzamenti liguri, senza però rinunciare ai suoi desideri. Da quando è lei a gestire gli affari di famiglia, ha infatti aperto un piccolo agriturismo e si è impegnata nel recupero della patata quarantina, entrando a far parte del consorzio di tutela. Discorso diverso per la cipolla rossa, coltivata da secoli a Zerli, i cui semi li ha ereditati insieme all'azienda. “La cipolla, sotto forma di bulbo, c'è solo da giugno a fine settembre, poi comincia a rigettare. Il suo ciclo è breve e non si riesce a fermare (è la natura!) quindi con le eccedenze facciamo la confettura, perfetta per accompagnare i caprini locali”.

Nel paniere dell'azienda, anche marmellate di fragole, lamponi, albicocche, prugne, pesche, fichi. E ancora, mele “con le quali preparo anche i Bidulli, ho chiamato così le nostre mele essiccate da usare nelle tisane”, o castagne, corbezzoli e cachi in autunno. Poi ci sono le erbe aromatiche: “L’origano (ndr. la curnabuggia)è la migliore delle nostre erbe, cresce spontaneo nei campi ed è profumatissimo. Viene raccolto quando è fiorito, legato ed essiccato all’ombra, sbriciolato a mano e setacciato”. Tra gli aromi, si annoverano anche il timo,“che cresce nel terreno pietroso dei nostri monti”, il rosmarino e l'alloro.“Da poco ci siamo messi a produrre anche miele d'acacia, ma ancora dobbiamo perfezionarci. Abbiamo cominciato con una casetta (ndr. arnia) e stiamo pian piano capendo come prenderci cura delle nostre api, insetti delicati ma riconoscenti. Ogni giorno impariamo cose nuove”. E noi le abbiamo imparate da Franca.

 

La Brinca | Ne (GE) | via Campo di Ne, 58 | tel. 0185 337480 | www.labrinca.it

Rue de Zerli | Ne (GE) | Località Zerli, 51 Strada per Gòsita | tel. 0185 339245 - 348 8263560 | www.ruedezerli.com

 

a cura di Annalisa Zordan

 

I consigli dell'oste

Michele Vallotti e i salumi di Vanni Forchini

Gherra e Vergano del Consorzio di Torino e la carne della Macelleria Brarda

Giovanni Milana di Sora Maria e Arcangelo e i formaggi di Marzia Molinari

Luca Casablanca di Tischi Toschi a Taormina e le conserve ittiche di Adelfio

Daniele Minarelli dell'Osteria Bottega e la mortadella di Ennio Pasquini 

 

 


Vinòforum 2017. A Roma grandi vini, degustazioni e chef da tutta Italia

$
0
0

Giunge alla quattordicesima edizione il festival capitolino del Lungotevere Maresciallo Diaz. Dal 2 al 12 giugno 2017 un programma ricco di degustazioni, cene d'autore, abbinamenti cibo/vino, occasioni di intrattenimento e business. E tanti ospiti da tutta Italia.

L'evento

Come sempre da 14 anni a questa parte, alla soglia dell'estate torna nella Capitale una delle manifestazioni più apprezzate dagli appassionati di enogastronomia. Ancora una volta, Vinòforum chiama a raccolta le migliori cantine nazionali, ristoranti selezionati e grandi chef e maestri pizzaioli per una dieci giorni di cene, degustazioni, assaggi e showcooking. Oltre 500 aziende vitivinicole, più di 2500 vini in degustazione, 40 ristoranti, 60 chef e 20 laboratori dedicati a grandi e piccini: questi i numeri dell'evento in scena dal 2 al 12 giungo prossimi. A ospitare la manifestazione sarà ancora una volta il grande spazio all'aperto a ridosso del Foro Italico di Roma, tra i pini marittimi del Lungotevere Maresciallo Diaz.

Il programma

Si continua a scommettere sulle proposte a piccoli prezzi dei temporary restaurant e sul connubio pizza d'autore e alta cucina. Cuore pulsante dell'evento è infatti il Cucine con Vista - Temporary Restaurant, che raduna 40 diversi ristoranti che si alterneranno ogni due giorni proponendo le loro specialità, dalla carne al pesce, dai piatti tradizionali a quelli fusion, dallo street food alla pizza, classica e fritta. Tre diverse portate per ogni ristorante per un totale di 120 piatti diversi, da abbinare alle varie etichette di vino presenti fra i banchi d'assaggio. Un'occasione unica per sperimentare e scoprire nuovi accostamenti, con il vino e non solo. Alta attenzione, infatti, anche alla mixology, che in questa edizione guadagna per la prima volta uno spazio dedicato con bartender professionisti impegnati a preparare cocktail ad hoc da gustare a tutto pasto. Ancora buon cibo con The Night Dinner, evento nell'evento che coinvolge 10 diversi chef che realizzeranno dei menu degustazione studiati su misura, disponibili solo su prenotazione. Fra i protagonisti in cucina, L'Arcangelo di Roma, Meraviglie in Pasta di Zagarolo, La Masardona di Napoli,Osteria 140 di Roma, La Taverna dei Corsari di Roma, Qqucina di Catania, Le Parule di Napoli, Gli Scacchi di Caserta Vecchia, Yugo di Roma,Il Fritto di Torrente di Cetara, L'Osteria del Leone di Siena,Gagini di Palermo, Smor di Roma, Antica Moka di Modena e molti altri ancora.

Ma non finisce qui: per i più impazienti, dal 27 maggio al 2 giugno prossimi, con il fuori salone sarà possibile partecipare a incontri in città dedicati alla cultura del cibo e del vino italiano, che avranno luogo presso ristoranti, scuole, librerie, enoteche, boutique, gallerie d'arte, scuole di cucina e tante altre location, unite per promuovere il buon gusto e valorizzare l'agroalimentare italiano.

Vinòforum | Roma | Lungotevere Maresciallo Diaz | dal 2 al 12 giugno 2017 | www.vinoforum.it

a cura di Michela Becchi

Made in Italy, certificato e di marca. È questo il vino che piace agli italiani

$
0
0

Secondo l'indagine Censis per Federvini, la qualità batte il prezzo nella scelta dei consumatori. Quali strategie per la filiera? Insistere sui Millennial e sul richiamo all'italianità

Made in Italy, certificato Dop-Igp e di una marca ben precisa. L'italiano che acquista una bottiglia di vino sceglie con questi tre criteri. E, prima di ogni cosa, sceglie per la qualità rispetto al prezzo: accade nel 93% dei casi. Il profilo emerge dall'indagine Censis 2017, in collaborazione con Federvini, in cui il consumatore sembra aver reagito alla congiuntura economica negativa con un atteggiamento definito di “sobrietà post-crisi”, fatto di cauto utilizzo dei propri redditi, taglio agli acquisti (a volte anche drastico), selezione e investimento in consumi di qualità. Un trend che emerge innanzitutto dall'analisi dei comportamenti di spesa sul lungo periodo confrontati con le ultime tendenze: se, tra 2005 e 2015, la spesa delle famiglie italiane per il vino è diminuita del 21%, più di quanto fatto per i generali alimentari, in tempi recenti (triennio 2013-2015) è cresciuta del 9%, rispetto al +0,5% registrato da quella complessiva per generi alimentari. Un segnale, secondo l'analisi Censis, dell'atteggiamento più evoluto e informato del consumatore, pronto a mettere più soldi sui beni che, come il vino, hanno anche un valore immateriale. Un prodotto del made in Italy, quindi, che non attira solo per la sua dimensione organolettica ma anche per la sua valenza simbolica che incarna cultura, tradizioni locali e, in due parole, è espressione dell'italianità.

 

L'italianità, fattore decisivo ma sottovalutato

Oltre al rapporto qualità/prezzo, altri fattori determinano, come si è detto, la scelta di un vino. L'italianità è uno di questi: per il 91,2% del campione è garanzia suprema di qualità e, quindi, il criterio primo di scelta. Il settore del vino, sottolinea il Censis, deve tenere ben presente questo potenziale generatore di valore. “Sinora, l'italianità” si legge nel rapporto “è stato un moltiplicatore di valore potenziale parzialmente o totalmente inesplorato”. Per tale motivo, il Censis non risparmia una tirata d'orecchi al sistema: “Occorre mettere o rimettere al centro dell’attenzione l’importanza che ha nelle scelte di consumo il nesso tra vino e italianità. Abituati a scrutare il nesso tra territori locali, qualità e tipologia di vino, si è perso di vista nel tempo o, almeno, è stata sottovalutata la portata potenziale del richiamo all'italianità del prodotto”. Secondo fattore determinante sulle scelte di acquisto è la Dop o l'Igp: sigle che richiamano al nesso con il territorio che danno fiducia al consumatore. Terzo fattore è il marchio aziendale: sette italiani su dieci lo ritengono fondamentale. Il vino è uno dei settori del food, dove l'infedeltà di marca è inferiore rispetto ad altri comparti. L'italiano vuole il vino di un certo brand perché incarna aspettative materiali e immateriali precise; e tra queste c'è anche la qualità.

 

Il ruolo dei Millennial

Nel 2016, sono oltre 28 milioni gli italiani consumatori di vino, bevanda che, osserva il Censis, accompagna in maniera variegata tutte le persone nel loro ciclo di vita. Lo scorso anno lo ha consumato il 54,6% degli ultra 65enni, il 58,4% di chi è tra 35 e 64 anni, e il 48,6% dei Millennial (giovani tra 18 e 34 anni). Quest'ultima categoria, rispetto alle altre, è quella in cui i consumi si sono ridotti di meno nell'arco di dieci anni. Questo significa che i Millennial possono essere considerati consumatori non seriali, piuttosto orientati a un consumo di qualità. Pertanto, se il vino è una componente del pacchetto dei consumi tipico della categoria “la loro propensione al consumo altamente selettiva diventerà ancora più importante per il settore”. I dati Istat, analizzati dal Censis, dicono anche che, nel decennio 2006-2015, la generale tendenza al calo dei consumi di vino ha rallentato con l'aumentare dei livelli di scolarizzazione e non si è ridotta drasticamente all'interno dei gruppi sociali con più alta condizione socio economica. Uno di quelli ad alta fruizione di questo bene è, per l'appunto, formato da dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (dal 74,7% del 2006 al 72,5% del 2015). Rileva il Censis: il maggiore coinvolgimento nel tempo dei ceti più abbienti conferma che il vino è la classica “bevanda degli italiani”, è trasversale rispetto alle età e ai ceti sociali ed è inserito all'interno di un consumo critico e consapevole. In altre parole, si sta affermando, tra i consumatori, un approccio al vino che evita le banalizzazioni dell'uso quotidiano e, soprattutto, evita la deriva del prezzo più basso. E a determinare i consumi futuri saranno proprio i Millennial, categoria evoluta, consapevole, non compulsiva, con forte propensione a considerare le dimensioni immateriali del vino, interpreti della cosiddetta “neosobrietà”. Quelli italiani, dice il Censis nella sua indagine, sono più virtuosi, maturi, propensi al consumo di pregio rispetto ai coetanei più a Nord, orientati maggiormente a un consumo intenso, concentrato e molto elevato di alcol. E, in quanto portatori di nuovi modelli di consumo, i Millennial giocheranno un ruolo primario nel trainare verso l'alto il valore del vino.

 

Recuperare il valore perduto

Ecco allora che, dal lato dei produttori, la spinta autolesionistica verso il prezzo più basso, che ha caratterizzato in modo particolare la prima fase dell'internazionalizzazione, è controproducente e rischiosa. Per il Censis, invece, l'Italia può riprendere terreno, intercettando un valore potenziale finora mancato. L'Italia è primo esportatore mondiale di vino con 20,6 milioni di ettolitri, ne produce oltre 50 milioni, con un valore unitario in ettolitri di 191,4 euro/ettolitro, inferiore alla Francia (316,6 euro/ettolitro) e persino alla Germania (207,7 euro/ettolitro). Certamente è difficile esportare agli stessi valori per ettolitro francesi (in questo caso il valore potrebbe passare da 5,6 a 12 miliardi di euro), ma è quantomeno possibile avvicinarsi a quelli della Nuova Zelanda che porterebbero l'export italiano a 9 miliardi di euro, oppure a quelli degli Usa, con un export teorico di 6,7 miliardi.

 

Il monito di Federvini

Il vino italiano, come ha sottolineato l'appena riconfermato presidente di Federvini, Sandro Boscaini, gode di “buona salute” considerando che è l'unico paese ad aver incrementato volumi e valori nel 2016. L'Italia è, ad oggi, dietro la Spagna a volume e dietro la Francia a valore, ma tra gli operatori del settore c'è ottimismo anche se “è necessario uno scatto in avanti per colmare il gap con la Francia. Certamente” ha rilevato Boscaini in riferimento ai ritardi nell'assegnazione delle risorse Ocm vino “queste vicende non hanno aiutato, limitando la possibilità di investire nei paesi extra Ue”. E si fanno sentire anche gli effetti della burocrazia: il progetto Re.Te., la telematizzazione dello sportello unico doganale, avrebbe dovuto eliminare la doppia contabilità elettronica e cartacea “ma a un anno dall'avvio l'Agenzia delle dogane non ha ancora approvato i regolamenti attuativi e quindi le imprese devono fare un doppio lavoro”. Inoltre, il comparto della federazione degli industriali attende l'abbassamento del livello di accisa promesso dal governo, dopo il +30% registrato tra 2013 e 2015. All'estero, gli ostacoli derivano in Ue da difficoltà interpretative, come il tema delle indicazioni nutrizionali in etichetta. Fuori dall'Ue, restano i problemi legati alle nuove registrazioni negli Usa, alle certificazioni sanitarie in Cina, alle discriminazioni fiscali in India o alle norme doganali in Russia. “Luci ed ombre” conclude il presidente Boscaini “che non impediscono una ragionevole fiducia nel futuro. Dobbiamo guardare ai mercati internazionali, è lì che incontriamo il nostro sviluppo e il nostro successo, portando chiaramente l’impronta del territorio di origine”.

 

Boscaini, nuovo biennio alla guida di Federvini

Nel corso dell'Assemblea Federvini a Roma, Sandro Boscaini, veronese, classe 1938, presidente di Masi Agricola, è stato riconfermato per i prossimi due anni alla guida di Federvini nRinnovate le altre cariche statutarie: Pietro Mastroberardino è stato rieletto presidente del “Gruppo vini”; Micaela Pallini, vice presidente e ad di Pallini spa, ha ricevuto la nomina di presidente del “Gruppo spiriti”; Sabrina Federzoni, guiderà il “Gruppo aceti”. In questi due anni, Boscaini ha dato un deciso impulso alla campagna #Beremeglio, coinvolgendo i bartender nella comunicazione del bere responsabile.

 

a cura di Gianluca Atzeni

foto di Zoltan SzarvasPixabay

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 18 maggio

Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. È gratis, basta cliccare qui

Roma Cocktail Week 2017. Tre giorni dedicati al bere miscelato alle Officine Farneto

$
0
0

Format che vince non si cambia. Ed è così che torna a Roma la Cocktail Week. Appuntamento alle Officine Farneto il 17, 18 e 19 giugno.

Dal 17 al 19 giugno torna in città la terza edizione della Roma Cocktail Week, una tre giorni tutta dedicata alla miscelazione, all'insegna di ricette, create ad hoc per l'occasione, e distillati di qualità, coinvolgendo i banconi più celebri della Capitale. Un ricco calendario di eventi che si terranno alle Officine Farneto, con la direzione artistica di Massimo D'Addezio, saggio giramondo chiamato barman e volto noto di Gambero Rosso Channel (Sky 412) grazie a Spirits, I maestri del cocktail, in onda in questi giorni con le nuove puntate della seconda serie.

Gli appuntamenti

Sei tra i migliori cocktail bar di Roma coinvolti, cinque scuole di bartending, oltre cinquanta drink creati per l’occasione, masterclass, abbinamenti drink-food, sfide tra bartender, ma anche concerti, djset e la novità di quest’anno: una mostra mercato, per l'esposizione e la vendita al pubblico. È ricco il palinsesto di questa terza edizione della Roma Cocktail Week, progetto nato dal format Spirits, ideato e curato da Nufactory in collaborazione con Smash e Woow, che si pone come obiettivo quello di diffondere la cultura del bere miscelato e soprattutto responsabilmente, perché quel che conta, fanno sapere gli organizzatori è “saper bere bene”. Un invito rivolto a tutti, dai semplici curiosi agli amanti dell’arte della miscelazione di qualità. Che alle Officine Farneto possono gustare i drink creati appositamente per l'occasione dai più bravi bartender di Roma, ciascuno specializzato in una linea di prodotto, dalla vodka al gin, dal vermouth alla tequila, al whisky o al rum; nell’ottica del tailor made e della sperimentazione. Per i più impazienti, c'è la possibilità di provarli in anteprima, dal 5 al 16 giugno, nei sei Leader Bar (per ora hanno confermato: Bootleg, Banana Republic, Pimm's Good). Basta chiedere del Signature Cocktail, un drink speciale ad un prezzo speciale creato ad hoc per chi parteciperà all'evento.

I luoghi: il bar centrale, l'area food e lo spazio dedicato alle lezioni individuali

Ospiti della manifestazione, le migliori scuole di Roma per barman professionisti. Che nel bar centrale si sfideranno a colpi di shaker. La competizione valuta le scuole concorrenti non solo sulla preparazione e sulla bontà dei cocktail, ma anche sulla loro capacità di relazionarsi con i clienti, rispondendo alle esigenze di target sempre diversi, nell'arco di due interi giorni di "servizio". Questa nuova formula nasce dall’esigenza di veicolare i due capisaldi della Roma Cocktail Week: il tailor made e la cultura del cocktail intesa come ospitalità e riguardo nei confronti del cliente. In un’area dedicata sarà possibile, previa prenotazione, diventare barman per un giorno, apprendendo i segreti del mestiere in mezz’ora di lezione individuale. Per quanto riguarda le lezioni collettive, invece, sabato 17 e domenica 18 sono rivolte al pubblico, mentre lunedì 19 giugno sono dedicate al trade e agli addetti. A completare l'offerta un’area food, nella quale domenica 18 giugno verrà organizzata una cena con menu e drink list speciali.

 

Roma Cocktail Week 2017 | Officine Farneto, via Monti della Farnesina, Roma | Dal 17 al 19 giugno | Biglietto singolo: 6 euro, Abbonamento per due giorni: 25 euro (comprende 2 cocktail e una consumazione food) | www.spiritsevent.com

I Leader Bar confermati

Bootleg | Roma | viale Gottardo, 23 | tel. 06 94847485

Banana Republic | Roma | via Giovanni Bettolo, 3 | tel. 06 3723291

Pimm's Good | Roma | via di Santa Dorotea, 8 | tel. 06 9727 7979 | www.pimmsgood.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

Extravergine. Da Civita di Bagnoregio al Mondo. ConCarma: qualità global del Triangolo dell'Olio

$
0
0

Viaggio nel Triangolo dell’Olio tra Lazio, Umbria e Toscana, insieme a Giulio Figarolo di Groppello, socio (insieme a Giovanni Bulgari e a Gianluca Pizzo) di ConCarma, la società che unisce Tenuta di Carma a Bagnoregio, Podere dell’Ermellino a Corbara e Formica Alta a Podernuovo a Palazzone (San Casciano ai Bagni).

Immersi nella Valle dei Calanchi, con la suggestiva rocca di Civita di Bagnoregio a dominare il paesaggio, pensi che qui ci sia tutto, che non esista altro, che il mondo si esaurisca nella contemplazione di questo scenario unico sulla terra. Ma da qui al mondo ci devi comunque arrivare, se vuoi vendere il fantastico prodotto di queste colline a due passi dal bacino del Lago di Bolsena. E se non ci riesci tutta la bellezza di cui godi qui, non ha senso: devi chiudere, vendere la terra, vendere lo splendido frantoio Mori che ha solo due anni, lasciar perdere gli olivi e i quattro asini che aiutano nel lavoro quotidiano tra balze scoscese e terrazzamenti olivetati.

 

Il Triangolo dell'Olio

Siamo nel cuore della Tenuta di Carma, nucleo iniziale del Triangolo dell’Olio che vede protagonisti Giulio Figarolo di Groppello (anima finanziaria e commerciale), Giovanni Bulgari proprietario con il padre Paolo dell’azienda Corbara, in Umbria, a pochi chilometri da Bagnoregio (che produce Podere dell’Ermellino) e della Tenuta Podernuovo a Palazzone (nella vicina San Casciano ai Bagni) produttrice di Formica Alta, e Gianluca Pizzo, l’uomo sul campo che cura gli olivi nelle tre aziende e sovrintende al frantoio: sono loro i tre soci di ConCarma, progetto dedicato all’olio extravergine di oliva made in Italy di alto profilo che esporta il 60% della produzione.

Trasformazioni e miglioramenti dalla struttura al prodotto

Passeggiando tra gli olivi, Giulio Figarolo spiega come abbiano dovuto aspettare ben otto anni per iniziare a ristrutturare il podere e tirarne fuori un agriturismo in grado di avere qualche stanza per gli ospiti e una piscina (che già esisteva da molti anni anche se non condonata dal precedente proprietario). Ma a questo punto le pratiche dovrebbero essere espletate e i lavori sono in via di conclusione.

La prima cosa da capire – da parte nostra che seguiamo i loro prodotti da quando hanno presentato l’olio per Oli d’Italia (ovvero dall’edizione 2011) – è stata come abbiano fatto a passare da punteggi non esaltanti e valutazioni invece molto alte nel giro di un paio di anni. “Semplice” sorride Giulio mentre apre la porta del nuovo frantoio Mori, tutto interrato e aperto sulla campagna con una vetrata in vetro-cemento trasparente “Abbiamo seguito la strada che aveva intrapreso il vino a Podernuovo. Ovvero: abbiamo cominciato a raccogliere e a molire per lotti omogenei. È stato come passare dalla notte al giorno”. Due Foglie dal 2012 al 2014 e Tre Foglie nelle ultime due edizioni. Oltre al premio che 100% Carma – l’etichetta di punta, blend delle migliori frangiture delle tre aziende – ha ottenuto a Parigi al 15° concorso internazionale “Oli dal mondo” organizzato dalla AVPA (Agenzia per la valorizzazione del patrimonio agricolo).

Il Triangolo e il controllo della filiera

Riusciamo a incastrarci con i tempi e le lavorazioni gestendo da qui, da Bagnoregio, tutto il calendario di raccolta e lavorazione e il monitoraggio sulle piante e le maturazioni delle olive, oltre che sulla loro sanità” spiega Gianluca Pizzocalcolando gli spostamenti e i tempi di raccolta, cerchiamo di avere in lavorazione le olive a una temperatura bassa, mai oltre i 20 gradi, così che poi il controllo del freddo in lavorazione possa avere efficacia. Non è facile, occorre una grande organizzazione e l’apertura mentale giusta per affrontare casistiche ed esigenze diverse e anche imprevisti. Ma è anche un lavoro che dà le sue soddisfazioni”.

Ci si sposta a vedere gli altri lati del Triangolo dell’Olio che comprende le tre aziende tutte sul confine tra Lazio, Umbria e Toscana. Si arriva a Corbara, proprio sopra alla diga e al corso del Tevere, di fronte al borgo di Baschi. Qui ha la casa Giovanni Bulgari, qui sono circa 4 gli ettari di piante di Frantoio circondate da oltre 200 ettari di bosco e macchia e da un altro centinaio di ettari di seminativi, tutti in regime biologico. Il terreno è più magro rispetto a Bagnoregio, anche il clima è un po’ più estremo. Il mondo sembra davvero lontano, eppure Giulio – che passa la vita a fare a pugni con il jet lag tra Asia, Europa e Africa – non smette mai di essere connesso col mondo, pur godendosi i pochi momenti che riesce a trascorrere qui. Anzi, la visione globale sembra permettergli di vivere più intensamente anche il bello di questi luoghi.

 

Nel mondo c’è fame di qualità

A un certo punto esce dai suoi pensieri: “Sai, in Italia produciamo poco più di 300mila tonnellate di extravergine, ma ne mettiamo in commercio circa il doppio con marchio italiano. Il che significa che nel mondo gira tanta monnezza!” Vero. Ed è ciò su cui lanciano l’allarme gli agricoltori che producono olio di oliva in Italia, di ciò si accusa la Politica: di non tutelare il made in Italy. “Però” sorride Giulio “Immagina che effetto possa fare un extravergine serio, vero, fatto bene in chi è abituato a quelle schifezze. All’estero impazziscono!”. Ecco: un modo un po’ diverso dal comune di vedere il bicchiere mezzo pieno e non solo mezzo vuoto. Ed è un ragionare per provare a trasformare alcune debolezze in una forza.

Le aziende italiane sono piccole o al massimo medie. Non riescono ad andare all’estero. Non riescono a fare sistema. Questo è il più comune dei mantra che si sente girando per le nostre campagne. “È vero” fa Giulio Figarolo di Groppello “Ed è esattamente ciò che non fa la Francia. Anche in Borgogna le aziende sono piccole, pure molto piccole. Ma fanno sistema. Qui ci si fa la guerra. E la responsabilità parte essenzialmente dallo Stato, dalla politica, quella con la P maiuscola che non dà l’esempio: anzi, offre il modello esattamente opposto”.

 

Magari ci comprasse la Francia!

Che dire? Continuiamo a sperare in un’Europa politica che ci aiuti a superare l’assurdo laccio burocratico in cui la Politica continua a volerci tenere imbrigliati? “Mah” sorride il manager-contadino“In realtà io spererei che ci comprasse la Francia!” Una battuta, ma mica tanto. E fa l’esempio di Bulgari, azienda familiare con cui lavora da tempo. “Era un’azienda che funzionava, fatturava 1,2 miliardi di euro l’anno. Poi Paolo fece la scelta giusta: cessione a LVMH (Louis Vuitton, Moët, Hennessy) del marchio e dell’azienda in cambio di azioni LVMH. In neppure 4 anni il fatturato è salito a 1,6 miliardi. E l’azienda, la sua filosofia, non è cambiata, anzi. È aumentata la capacità di impatto sul mercato. Il far sistema, appunto”.

 

L’opportunità global

Certo, le speranze che l’Italia superi questa fase di gravissimo scollamento della politica dalla società reale, questa fase di decadenza, sono poche… “Anche perché siamo vecchi noi” butta là Giulio “I giovani, le generazioni dopo la nostra credo che abbiano molte più chance di noi. Noi avevamo dei modelli, delle aspettative e viviamo come fallimento la realtà attuale. Loro, i nuovi giovani, ci sono nati e cresciuti dentro, sanno come usare leve e possibilità meglio di noi” continua e passa a esempi concreti “Pensa a internet, al digitale. Per noi è ancora una fatica, per loro è già quasi roba vecchia! Oggi, se uno ha prodotti seri da vendere, può arrivare al mondo, può arrivare al cliente finale senza intermediazioni. Questo cambia di molto il quadro di riferimento. Certo, occorre sapere usare i mezzi e le tecnologie, sapere cosa si vuole e dove si punta. Ma le opportunità sono molto, ma molto più ampie di quelle che avevamo noi”. Si può essere o meno d’accordo, ma sicuramente è un punto di vista differente dal pessimismo dilagante senza però negare l’evidenza di ciò che non va. Del resto, è singolare che lui – abituato a trattare con il mondo, con i più grandi colossi finanziari, a districarsi tra grandi marchi mondiali – abbia scelto l’extravergine di oliva come campo di azione del suo business.

 

Il rapporto con la terra

In realtà il mio contatto con la terra comincia dall’infanzia. Sono cresciuto con i nonni, ma soprattutto con i contadini dei nonni in Val di Chiana” racconta Giulio Figarolo “Ho fatto tante raccolte, tante mietiture, ho respirato fino in fondo quella cultura, quelle atmosfere e mi piacevano molto. Poi, però, ho capito che dovevo uscire, che non potevo restare chiuso lì”.

E allora che è accaduto? “Così ho fatto il mio percorso, anche se non ho mai dimenticato la campagna. Tanto che a 21 anni ho preso a girare in un raggio di 100 chilometri da Roma per cercare la mia campagna. Sono approdato a Lubriano, a pochi chilometri da Bagnoregio. Ho conosciuto Gianluca e suo padre: ci conosciamo, ci frequentiamo e ci stimiamo da quasi quarant’anni. E pian piano la storia è andata avanti, è cresciuta. Ho cominciato con 50 olivi…”.

{gallery}concarma{/gallery}

Incroci di vita, di terra e di idee

Il resto lo hanno fatto la vita, le relazioni, i rapporti, le conoscenze e le capacità. L’alta finanza e il mondo del business del lusso lo hanno portato a frequentare il mondo e ad aprire la mente. Fondamentale, poi, il rapporto con Paolo Bulgari che da sempre aveva la tenuta a Corbara. Quando il gioielliere ha acquisito Podernuovo e ha chiesto al figlio Giovanni di occuparsene lui in prima persona, il rampollo della dinastia Bulgari ha accettato, ma a condizione che accanto a lui ci fosse Giulio. E Giulio non avrebbe mai fatto a meno di Gianluca.

Insomma, un Triangolo territoriale, ma anche un triangolo amicale: teste giovani, aperte, brillanti. Certo anche capitali a disposizione, ma soprattutto un progetto concreto. Tanto più con l’ingresso di Paolo Bulgari – dopo aver ceduto il suo marchio – in Sarment Wine, il più prestigioso marchio di importazione e distribuzione del vino di alta gamma in Asia.

A questo punto il gioco si è fatto davvero interessante e intrigante. “Ed è stato possibile anche mettere in movimento energie e idee nuove e giovani” spiega Giulio “per esempio, abbiamo cercato i due sommelier di due Tre Stelle Michel in nel mondo: a cosa potevano aspirare come crescita di carriera? A 25 anni erano già al top. Sarment gli ha chiesto di lavorare per lei: girare il mondo ad assaggiare e scoprire i migliori vini, le migliori etichette del pianeta. Cosa c’è di più soddisfacente e gratificante di questo per un appassionato? È il massimo”.

 

Gli ulivi come le vigne

Torniamo all’olio “Certo… ma le cose che ho raccontato del vino valgono anche per l’olio. Io ci credo nell’extravergine” spiega Giulio “Io credo fermamente che l’extravergine di qualità abbia un futuro e anche importante. E che a breve ci sarà anche il riconoscimento del giusto prezzo per un prodotto di altissimo livello. Vedremo chi ci sarà, in quel momento”.

Una cosa è certa: Carma e gli altri prodotti (Podere dell’Ermellino in Umbria e Formica Alta in Toscana) dal vino hanno imparato molto, sia in campo e sia nel mercato globale. I vini di Podernuovo hanno nel mondo il 92% del mercato: sono essenzialmente Vermentino, Sangiovese e Cabernet Franc, espressione perfetta (ed elegantemente stilizzata: come lo è la concretezza del cemento della struttura che unito ai pigmenti di terra magra del luogo riesce a far da ponte ideale tra la moderna e tecnologica cantina e il paesaggio circostante) di un terroir più selvaggio della limitrofa Val d’Orcia, terra di confine da sempre e ancora oggi in equilibrio tra Umbria, Lazio e Toscana come secoli addietro lo fu tra la Toscana dei Medici e lo Stato della Chiesa.

Se il nostro olio riuscirà a seguire il vino anche nell’export” sorride Giulio “magari riusciremo a farci carico anche di quegli olivi abbandonati che sopravvivono sotto ai calanchi di Civita e che nessuno penserà mai di accollarsi per la fatica e i sacrifici che richiede lavorarli. Ma i nostri asinelli che ci aiutano a tener puliti gli oliveti e a spostarci in quelle coste scoscese possono acquisire nuovi amici e aiutarci a lavorare anche quelle di piante”.

Perché sono gli agricoltori i primi difensori e tutori del territorio. “Lo sanno bene in Austria o in Francia, dove i governi danno contributi agli allevatori perché restino piccoli e riescano così a gestire e curare il loro spazio traendone reddito, a portare le bestie in alpeggio mantenendo quindi la montagna, tenendo puliti terreni, canali e fossi, curando glia alberi. Ma avendo anche la possibilità di ricavarne un giusto reddito”.

 

Carma Srl | Bagnoregio (VT) | Località Podere, 6| tel. 39 0578 56056| http://concarma.com/

 

a cura di Stefano Polacchi

La Sicilia in 10 biscotti tradizionali e la ricetta delle paste di mandorla della pasticceria Ernesto

$
0
0

Mandorle, agrumi, sesamo, ma anche strutto, cacao e pepe. Sono le specialità siciliane, una lunga lista di biscotti dalle ricette antiche. È qui che andiamo per l’ultima puntata della rubrica sui biscotti regionali. Vi raccontiamo 10 dolcetti tipici e, alla fine, la ricetta delle paste di mandorla della pasticceria Ernesto di Catania.

Cuddrireddri di Delia, mustazzoli di Erice, biscotti algerini, biscotti di San Martino, scaurati, anicini. Questi sono solo alcune delle specialità che, per esigenze di lettura, abbiamo dovuto tralasciare. Perché la biscotteria siciliana è davvero ampia e ricca. Per l’ultima puntata della rubrica sui biscotti regionali vi raccontiamo 10 dolcetti tipici di questa terra, con la ricetta delle paste di mandorla della pasticceria Ernesto di Catania, premiata con Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Bersaglieri

Iniziamo con questa specialità dell’area etnea e della Sicilia orientale, solitamente preparata per la ricorrenza del 2 novembre, insieme ai vari tipi di ossi di morto. I bersaglieri sono biscotti dal cuore morbido, ricoperti con glassa al cacao, che in questa zona chiamano liffia. Molto simili a questi sono i biscotti regina, che però non prevedono l’uso del cacao nella ricetta, sostituito dal succo di limone. Spesso vengono venduti insieme, a coppia.

Per prepararli servono farina, zucchero, strutto (sostituito dal burro nelle versioni moderne) lievito, latte e vaniglia, più cacao, zucchero e acqua per la glassa.

Per prima cosa impastare su una spianatoia la farina già setacciata, lo zucchero, lo strutto ridotto a pezzetti, le uova e l’aroma di vaniglia. Man mano aggiungere prima il lievito e poi il latte, fino a ottenere una pasta liscia e omogenea, ma non elastica. Formare una palla e lasciarla riposare in frigorifero per almeno 60 minuti, avvolta dalla pellicola.

Trascorso questo tempo, staccare dei tocchetti e modellarli a forma di girella, arrotolandoli. Cuocere in forno a 200 gradi per circa 10 minuti e poi a 150 gradi per altri 15. Nel frattempo creare la glassa da cospargere sui bersaglieri prima che si raffreddino completamente.

 

Biscotti di Monreale

Dalla forma a esse e i caratteristici decori con ghirigori di zucchero, sonno dolcetti tipici di Monreale, la suggestiva cittadina alle porte di Palermo conosciuta per il suo splendido Duomo. Furono creati nel XVI secolo dalle monache benedettine dell’ormai scomparso Monastero di San Castrense, riscuotendo immediatamente un grande successo, tanto da guadagnarsi, secoli dopo, una citazione nel romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo. Si consumano quasi sempre a colazione o con il tè. Sono preparati con farina 00, latte, strutto, zucchero, tuorli d’uovo, lievito, mentre per la glassa occorrono zucchero a velo, succo di limone e albume d’uovo. Sono molto simili ad altri biscottini dalla stessa forma, che si trovano un po' in tutta la Sicilia con minime differenze.

 

Biscotti di Monreale- Be shoppingBiscotti di Monreale- Be shopping

 

Cucchie di Petralia

In nome deriva dall’espressione dialettale ‘ncuchiare che vuol dire “unire, mettere insieme”, e infatti questi dolcetti sono composti da due ovali di pasta biscottata che racchiudono un ripieno di frutta secca aromatizzata alla cannella e al limone. Ricordano molto il buccellato, un dolce al forno tipico del periodo natalizio, diffuso un po’ in tutta la Sicilia e diverso da quello lucchese. Le cucchie vengono da Petralia Sottana, un comune di poco più di 2 mila abitanti della provincia di Palermo, che fa parte del Parco delle Madonie. Per realizzarle occorrono farina di grano duro, strutto, zucchero, uova, Marsala, lievito, un pizzico di sale, cannella e scorza di limone, per la pasta, mentre il ripieno è realizzato con uva passa, pinoli, pistacchi e mandorle tritate, fichi secchi, zucchero, gocce di cioccolato, cacao amaro, zucca candita a pezzetti e acqua. 

 

‘Nzuddi

Tipici del catanese e del messinese, sono stati creati dalle suore vincenziane di Catania, da cui prendono l’appellativo; ‘nzuddo è infatti il  vezzeggiativo dialettale di Vincenzo. A Catania si mangiano per le celebrazioni del 2 novembre, come dolcetti di fine pasto, mentre a Messina si preparano per la festa della Madonna della Lettera, il 3 giugno. 

Gli ingredienti non sono molti: farina, zucchero, mandorle tostate, miele, albume d’uovo, lievito, scorza d’arancia e cannella. E anche il procedimento è piuttosto semplice: mescolare in una terrina la farina, lo zucchero, le mandorle tritate finemente (mettete da parte una piccola quantità di mandorle intere per la decorazione), la scorza d’arancia candita, il lievito e la cannella. Montare, a parte, l’albume d’uovo e aggiungerlo al composto, insieme al miele. Impastare il tutto con acqua aggiunta a filo, poco per volta, fino a ottenere un composto dalla consistenza abbastanza soda ma un po’ appiccicosa.

A questo punto dalla massa formare delle palline un po’ schiacciate, dallo spessore di circa un centimetro. Metterle in una teglia rivestita di carta da forno e completare ognuna con una mandorla intera. Cuocere a 200 gradi per 10 minuti circa e poi a 100 gradi per altri 10 minuti, in modo da farli asciugare bene all’interno.

 

'Nzuddi - pasticceria hobby'Nzuddi - pasticceria hobby

 

Paste di mandorle

Un vero simbolo della biscotteria siciliana, i dolcetti di pasta reale biscottata diffusi su tutto il territorio regionale, chiamati anche fiocchi di neve, fior di mandorle o paste secche. La ricetta, con le dovute varianti locali, prevede mandorle spellate, zucchero semolato e a velo, albumi d’uovo, miele, succo di limone (facoltativo). 

È proprio questa la ricetta che ci siamo fatti dare dalla pasticceria Ernesto di Catania, Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie: il procedimento lo trovate in fondo all’articolo.

 

Pipareddi messinesi

Biscotti originari della provincia di Messina, molto simili ai quaresimali, chiamati così sia per la presenza del pepe nella ricetta che per l’usanza di cuocerli nelle stufe a legna, “sbuffanti” come delle pipe. La cottura tradizionale, sostituita oggi da quella in forno, prevedeva che fossero tenuti a 50 gradi per due giorni interi: per questo motivo i pipareddi venivano cotti in comune fra due o tre nuclei familiari, in modo che tutti i parenti potessero scaldarsi con la stufa dei vicini.

Sono dolci molto aromatici, preparati con farina, mandorle, zucchero, miele, uova, strutto, lievito, pepe macinato, cannella, scorza di limone, chiodi di garofano, un pizzico di sale e acqua. Si parte montando a neve gli albumi con il sale e metà dello zucchero. Poi si versa la farina, il resto dello zucchero, la cannella e le mandorle tritate finemente, tenendone da parte un po’ intere. Infine, si mettono la scorza di limone e i chiodi di garofano macinati. Quando il composto è ben amalgamato si aggiungono le mandorle intere, si impasta un altro po’ per distibuirle bene e si crea un filone largo circa 3 centimetri. Si cuoce a 200 gradi per 15-20 minuti e, una volta tiepido, si deve suddividere in tante fette oblique da 1 centimetro ciascuno da ripassare in forno per altri 15 minuti a 150 gradi, girandole a metà cottura.

 

pipareddi messinesi - turin mammapipareddi messinesi - turin mamma

 

Reginelle o sesamini

Anche in questo caso una specialità che ha diversi nomi: reginelle, sesamini, viscotta ‘nciminati, cimini. Molto diffusi nell’area palermitana, sono interamente coperti da semi di sesamo, segno evidente dell’impronta araba sulla cucina locale. L’ingrediente dà al biscotto un equilibrio particolare, con la dolcezza interna che viene smussata dal tostato dei semi. Si mangiano prevalentemente a colazione, ma non è raro vederli serviti insieme ad un vino dolce. Si preparano con farina, zucchero, strutto o burro, semi di sesamo, uova, latte, scorza di limone, un pizzico di sale e uno di zafferano (non sempre presente nelle ricette), lievito.

In una ciotola si mescolano farina, zucchero, zafferano e il lievito già sciolto nel latte. Poi si aggiungono lo strutto o il burro, le uova, la scorza di limone e il sale. Ottenuto un composto abbastanza consistente si fa riposare l’impasto per 60 minuti in frigorifero o in un locale freddo, un tempo era la cantina.

Stendere una sfoglia spessa 15 millimetri circa e ritagliare dei tocchetti da ripassare nel sesamo prima di cuocerli a 200 gradi per circa 10-15 minuti, o finché la superficie non risulti dorata. A questo punto abbassare la temperatura a 150 gradi e lasciare in forno ancora per 10 minuti circa.

 

Squisiti 

Un nome, una garanzia: gli squisiti. Sono biscotti da colazione a forma di esse, tpici di caratterizzati da una particolare dolcezza e dall’aroma di limone. Anche se esistono diverse varianti: in alcune zone della provincia di Ragusa vengono preparati senza uova, sostituite dal latte, in altre al posto dell’aroma di limone c'è quello della cannella e dell’arancia. 

La ricetta classica prevede farina, zucchero, strutto o burro, lievito, uova, scorza di limone. In una ciotola si mescolano la farina e lo strutto ammorbidito, fino ad ottenere un composto dalla consistenza granulosa. Si aggiungono le uova, lo zucchero, la scorza di limone grattugiata e, in un secondo tempo, il lievito. Si amalgama bene, finché la massa non risulta liscia e abbastanza umida. Si fa riposare in frigo per almeno un’ora e poi si lavora su una spianatoia in modo da ricavare dei bastoncini lunghi circa 7-8 centimetri da modellare a forma di esse e poi cuocere in forno a 200 gradi per 15-20 minuti circa o finché non risultano dorati.

 

squisiti - Arucisquisiti - Aruci

 

Tetù e teiò

“Uno a te, uno a me”: è questo il significato del nome di questa specialità tipica della ricorrenza del 2 novembre, che oggi si può trovare in qualsiasi pasticceria siciliana tutto l’anno. Sono dei biscotti “svuota dispensa”, fatti con una base di farina, mandorle macinate e strutto, a cui poi si aggiungono diversi ingredienti, secondo la specifica zona di provenienza. Non aspettatevi dunque lo stesso sapore: quelli catanesi sono diversi da quelli palermitani, così come quelli trapanesi da quelli prodotti a Messina e così via. 

Oltre ai 3 ingredienti sopra citati, in questi dolcetti dalle dimensioni contenute potrete trovare anche pezzetti di pan di spagna avanzati, frammenti di cialde, pasticcini ormai induriti e sbriciolati, frutta secca di vario tipo, miele, aroma di cannella, scorze di agrumi e canditi.

In genere, i tetù sono rivestiti con glassa al cacao, mentre i teiò sono ricoperti di glassa di zucchero semplice.

 

Treccine

Semplicissimi, dal sapore delicato, sono i biscotti che ogni siciliano ha mangiato a colazione almeno una volta da bambino. La base è una pasta frolla siciliana, cioè preparata con lo strutto, arricchita con miele e, in alcune zone, aromatizzata con la scorza di limone. Gli ingredienti sono farina, zucchero, strutto, uova, latte, miele, lievito e un pizzico di sale.

Si parte lavorando su una spianatoia la farina già setacciata, lo zucchero, il sale, lo strutto tagliato a pezzetti, le uova, il miele e il lievito. Si aggiunge il latte un po’ per volta, fino a ottenere un impasto liscio e consistente a cui si dà la forma di una palla, si fa riposare in frigo per almeno 60 minuti avvolta da una pellicola.

Trascorso questo tempo, prelevare dei tocchetti di pasta e formare dei bastoncini dello spessore di 7-8 millimetri lunghi tra i 20 e i 30 centimetri ciascuno. Piegarli a metà in modo da fare combaciare le estremità, e attorcigliarli a forma di treccina.

Una volta create le treccine, trasferirle su una teglia imburrata e spennellarle con un po’ di albume d’uovo, o con del latte. Cuocerle in forno per 15-20 minuti a 180 gradi circa. Aspettare che si raffreddino completamente prima di mangiarli.

 

 

La ricetta delle paste di mandorle della pasticceria Ernesto di Catania

 

ingredienti per 40 biscotti

1 kg di mandorle di Avola sgusciate

1 kg di zucchero semolato

100 g di miele

250 g di albume

vaniglia

zucchero a velo

 

procedimento

Unire le mandorle con lo zucchero e il miele, mescolando. Mettere il composto nella planetaria e aggiungere l’albume già montato a neve in precedenza, continuando a impastare a velocità media.

Nel frattempo cospargere un piano di lavoro con lo zucchero a velo e lavorarvi sopra il composto, fino a ottenere un filone ben imbiancato. Tagliarlo a tocchetti a cui dare la forma di esse oppure dei tondini un po’ schiacciati. Se necessario ripassarli nello zucchero a velo. 

Cuocerli in un forno statico preriscaldato a 220 gradi per 20 minuti, avendo cura di metterli distanziati sulla teglia, ricoperta da carta da forno, in modo che non si attacchino durante la cottura. Prima di servirli, attendere che si siano completamente raffreddati.

Pasticceria Ernesto | Catania | via Ruggero Di Lauria, 91/93 | tel. 095 491680 | www.facebook.com/Ernesto-Gelateria-e-Pasticceria-Catania-226237350786616

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Leggi anche Il Trentino Alto Adige in 9 biscotti tradizionali e la ricetta dei frollini al mais del Panificio Moderno

Leggi anche L’Abruzzo in 9 biscotti tradizionali e la ricetta degli spumini della pasticceria Ferretti

Leggi anche La Lombardia in 12 biscotti e la ricetta del biscotto bresciano della pasticceria Garzoni

Leggi anche La Sardegna in 11 biscotti tradizionali e la ricetta delle pardulas della pasticceria La Dolce Vita

Leggi anche L’Umbria in 9 biscotti tradizionali e la ricetta delle Pinoccate del B&B Caffè

Leggi anche Il Molise in 9 biscotti tradizionali e la ricetta dei mostaccioli del Caffè Pantheon

Leggi anche Le Marche in 9 biscotti tradizionali e la ricetta dei cinquedieci della pasticceria 180 Gradi di Fermo

Leggi anche L’Emilia-Romagna in 10 biscotti tradizionali e la ricetta dei buslanein della pasticceria Falicetto

Leggi anche La Valle D’Aosta in 5 biscotti tradizionali e la ricetta delle tegole della Pasticceria Morandin

Leggi anche Il Piemonte in 12 biscotti tradizionali e la ricetta dei baci di dama della pasticceria Gallizioli

Leggi anche La Toscana in 10 biscotti tradizionali e la ricetta dei biscotti di Prato della pasticceria Nuovo Mondo

Leggi anche La Liguria in 9 biscotti tradizionali e la ricetta degli anicini della pasticceria Tagliafico

Leggi anche La Campania in 9 biscotti tradizionali

Leggi anche La Basilicata in 9 biscotti e la ricetta dei taralli glassati della pasticceria Tiri 1957

Leggi anche Il Veneto in 8 biscotti tradizionali e la ricetta degli zaeti della Pasticceria Chiurato

Leggi anche La Calabria in 10 biscotti tradizionali e la ricetta delle straccette della pasticceria Scutellà

 

 

 

 

 

Bugs. Dalla Danimarca il documentario sugli insetti nella cucina del futuro

$
0
0

Un film documentario sull'entomofagia, ovvero la dieta a base di insetti. Diretto dal regista danese Andreas Johnsen, Bugs uscirà nelle sale italiane il 29 maggio 2017, con l'obiettivo di fare luce su un nuovo sistema alimentare.

L'entomofagia

Sono stati definiti novel food e, secondo il vecchio regolamento del Parlamento europeo, si tratta di “tutti quegli alimenti, ingredienti e tecniche di produzione alimentari per i quali non è dimostrabile un consumo significativo” (CE 2558/97). Una categoria che comprende gli insetti, ma anche ingredienti costituiti a partire da microrganismi, funghi e alghe e tutti quei prodotti che sono stati sottoposti a un processo di produzione generalmente non utilizzato. Questo regolamento, vecchio di vent'anni, è stato giudicato obsoleto e inadatto al compito di normare la produzione dei novel food dal Parlamento europeo, che nel 2015 ha votato per un rinnovo del testo. Così, dal 1 gennaio 2018 anche sulle tavole e nei ristoranti italiani sarà possibile servire insetti e alimenti a base di farine proteiche (da grilli e cavallette), ma solo se l'Efsa – Agenzia Europea per la Sicurezza alimentare – riconoscerà la qualità del prodotto, ammettendolo tra i novel food.

Un tema caldo, quello dell'entomofagia, che continua a suscitare l'interesse (e anche tante critiche) da parte di addetti ai lavori e consumatori. Tanto da essere diventato il tema dell'ultimo libro edito da Phaidon, On eating insects (Mangiare gli insetti), un volume dedicato a uno dei tabù alimentari più diffusi in Occidente, che chiama in causa esperti come i professionisti delNordic Food Labdi Copenaghen e Mark Bomford, direttore del Yale Sustainable Program, e soprattutto un testo che invita i lettori ad abbandonare i pregiudizi e ad aprirsi culturalmente verso una rivoluzione alimentare.

Il film

Questo nuovo modo di concepire la tavola diventa protagonista anche dell'ultimo film di Andreas Johnses, regista danese fondatore della Rosforth Films e autore di diversi documentari sull'arte, la musica e la gastronomia. Il prossimo 29 maggio, nelle sale cinematografiche italiane arriva Bugs: 75 minuti di viaggio alla scoperta degli insetti che mangeremo nel futuro in Europa, un percorso che comincia ancora una volta in Danimarca con il team del Copenaghen Nordic Food Lab. Josh Evans, Ben Reade, Roberto Flore e tanti altri chef e ricercatori della squadra danese che sono passati dall'Uganda al Giappone fino ad arrivare in Australia per assaggiare, valutare e schedare tutti i bruchi, le termiti, cavallette, escamoles, grilli disponibili. Uno studio durato ben 3 anni, durante i quali sono state coinvolte 2 miliardi di persone che, sparse ai quattro angoli del mondo, già oggi si cibano di insetti. Attraverso le esperienze, le conversazioni sul campo e in laboratorio, le visite agli allevamenti e le conferenze internazionali, durante la ricerca del gruppo danese sono cominciate a emergere alcune domande impegnative: se gli insetti fossero prodotti a livello industriale, risulterebbero così buoni e sani come quelli che troviamo nei diversi ecosistemi del mondo? Chi trarrebbe beneficio dalla crescita di questo settore? Possiamo considerare gli insetti come lo specchio che riflette gli errori del nostro sistema alimentare o la soluzione a questi sbagli? A questi e altri dubbi si propone di rispondere Johnses con il suo film, che uscirà in anteprima nel cinema Stensen di Firenze il prossimo 23 maggio.

www.bugsfeed.com/film

a cura di Michela Becchi

Alla Design Week di New York il primo Honey Bar

$
0
0

Un progetto internazionale di salvaguardia delle api, Urban Bee Hives, e il primo Honey bar di New York: succede alla Design Week che ogni anno a maaggio anima le strade, i musei e i locali della città. L’iniziativa è della storica dell’arte e botanica Claudia Zanfi, in collaborazione con Atelier del Paesaggio.

Cos’è Green Island

Green Island è un progetto ideato da Claudia Zanfi ben 16 anni fa: l’obiettivo è quello di creare eventi culturali, iniziative espositive e programmi di educazione alla sostenibilità dedicati alla biodiversità urbana. All’interno di Green Island è nato Alveari Urbani: Urban Bee Hives, un percorso che si concentra sulla salvaguardia delle api e sulla valorizzazione dei territori. In occasione della Design Week newyorkese, Green Island ha lanciato un invito ai creativi della Grande Mela, allo scopo di ripensare a tutto ciò che riguarda il mondo dell’apicoltura. Da questo lavoro di networking internazionale è nato il primo Honey Bar della metropoli, che mette in mostra una linea di oggetti dedicati al miele e ideati dallo studio Design Group Italia. Dove? A Brooklyn, negli spazi di Industry City - Wanted Design District.

 

L’Honey Bar alla Design Week di New York

All’interno dell’Honey Bar, per tutta la durata della settimana del design, si potranno ammirare e provare utensili come l’HoneyBulb, modello di arnia creato attraverso l'accostamento di piccoli esagoni; Nido, oggetto per la raccolta del miele con geometrie iconiche e uno studio ergonomico del manico; DipperBall, cucchiaio che si divide in due parti – bulbo e manico - unite tra loro attraverso un magnete che “fluttua” all'interno del vaso, evitando così di sprecare il nettare e di dover pulire l'oggetto dopo ogni suo utilizzo. Oppure, In-Honey, ispirato al tradizionale infusore, ma ripensato come strumento per contenere il miele e immergerlo direttamente nella bevanda calda, così da farlo sciogliere in modo omogeneo. Il concept del bar è stato realizzato grazie allo studio del fotografo Paul Clemence, che si è concentrato per anni nella documentazione di strutture e dettagli architettonici che riprendono l’idea dell’arnia. È sua la gigantografia che avvolge l’intero spazio Green Island/Urban Bee Hives all’interno di Industry City: un insieme di alveari che danno l’impressione di “invadere” pareti e pavimento.

 

I sistemi Bee Hive Park 

Sempre all’interno del progetto c’è anche Bee Hive Park by Capoco + Crozier Design: una serie di installazioni di arnie i-tech chiamate Sky Hives. Il duo di designer newyorkesi ha creato dei sistemi in legno, dai colori naturali, che supportano un impianto Solar Power LED. Le arnie del futuro sono inserite all’interno di una “cascata floreale” - cosa che rappresenta il ciclo dell’impollinazione - che si accende durante la notte, mettendo in evidenza il simbolo dell’ape impresso su ogni alveare.

 

Gli assaggi per scoprire il mondo del miele

Per chi volesse scoprire le produzioni di miele locale attraverso l’assaggio delle diverse tipologie, sono due gli appuntamenti che si terranno durante le giornate del 20 e 21 maggio negli spazi dedicati presso Industry City. Inoltre, per coloro che volessero approfondire, è possibile partecipare a diversi workshop sulla produzione di miele in ambito urbano ideati da Atelier del Paesaggio e tenuti dall'organizzazione non profit Growers di New York.

New York Design Week - Wanted Design | Industry City | Brooklyn | 220 36th St #2-A | www.industrycity.com/wanteddesign-brooklyn

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 


Oenovideo 2017. In Francia il festival dedicato ai film a tema vinicolo

$
0
0

Non solo Cannes. A Bordeaux, dal 1 al 4 giugno 2017, è di scena il festival dedicato a film, cortometraggi e documentari che raccontano l'articolato universo del vino.

Il festival

Dalla Palma d'oro di Cannes (il festival per eccellenza è tra l'altro in corso in questi giorni) al Grappolo d'Uvadi Bordeaux. In Francia, da 24 anni esiste un altro red carpet di primavera dedicato al cinema, che per questa edizione si tiene in uno dei comuni d'oltralpe più noti per la sua produzione vitivinicola. Si chiama Oenovideo-Internationl grape&wine film festival e va in scena a Bordeaux dal 1 al 4 giugno prossimi, con il patrocinio dell'Oiv (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino). Quest'anno sono 24 i film, tra cortometraggi, documentari e fiction, selezionati dalla giuria per un totale di 15 ore di proiezione. E per la prima volta, i protagonisti della scena cinematografica dedicata all'enologia sfileranno sul tappeto rosso nel cuore della Cité du Vin di Bordeaux, un museo nato un anno fa con l'intenzione di celebrare il vino in tutte le sue sfumature. A presiedere la giuria, Yves Rousset-Rouard, enologo, politico e produttore di diversi film come Les Bronzés, A cena con il diavolo, Una piccola storia d'amore, Le Père Noëlest une ordure, tanto per citarne alcuni. Tanti gli appuntamenti che punteggiano le quattro giornate della fiera, dai forum ai seminari, dai dibattiti ai convegni, tutti mirati a far interagire i visitatori con produttori e registi, per (ri)scoprire il fascino e la ricchezza di Bordeaux, dei suoi vigneti, i tesori della sua terra e la sua storia. Un incontro dal respiro internazionale fra il mondo del cinema e quello del vino, che chiama a raccolta appassionati di tutto il mondo.

I film

La lista dei film è vasta e abbraccia vari temi, come la tradizione bordolese (Le vignoble bordelais des grands crus entre tradition et modernité), la difficoltà di giudicare e descrivere un vino (Défend Beaujolais), l'immancabile vino naturale (Vin Nature, Vin Vivant), l'industria del vino in Sud Africa e lo sfruttamento degli agricoltori locali (Bitter grapes - Slavery in the Cape Winelands), l'importanza dell'assaggio e il ruolo dei sommelier (Au Pif). Una forte predominanza di pellicole francesi, qualcuna spagnola e canadese, e anche due italiane: The duel of wine di Lino Pujia e Nicolas Carreras, il racconto di un famoso sommelier caduto in disgrazia a seguito di una momentanea perdita di gusto. E Rotari Metodo Classicodi Nosio Spae Filip Milenkovic , la storia della celebre bollicina trentina e della tecnica di spumantizzazione. Tutte le proiezioni avverranno, secondo calendario, a partire da giovedì 1 giugno e saranno disponibili solo su prenotazione, mentre l'annuncio della classifica e del vincitore avverrà domenica 4 giugno. Parallelamente, andrà in scena anche Terroir d'Images, una mostra fotografica dedicata alla vite durante la quale saranno esposte opere di professionisti e fotografi amatoriali. Per l'edizione 2017 è il legame fra vino e paesaggi il filo conduttore di tutte le immagini, che potranno essere ammirate in accompagnamento a vini da tutto il mondo. Su 1500 opere, sono 100 in tutto le fotografie selezionate dalla giuria e, fra queste, solamente una si vedrà assegnato il titolo di Gran Premio Internazionale di Fotografia della Vigna e del Vino.

Oenovideo | Bordeaux | Quai de Bacalan, 134 | dal 1 al 4 giugno 2017 | www.oenovideo.com/

a cura di Michela Becchi

Sala e accoglienza: nasce Intrecci, la scuola firmata dalla famiglia Cotarella

$
0
0

Quando si entra in un ristorante, il primo benvenuto che si riceve è quello del personale di sala, e sempre la sala provvederà al benessere e alla riuscita della cena. Ecco perché è importante trovare bravi camerieri. Ed ecco perché è nata la scuola Intrecci.

Solo un vero signore può essere un bravo servitore” recita un vecchio adagio. E ci vuole forse qualcuno che ha molta familiarità con le grandi cantine e i ristoranti più importanti, per formare personale davvero competente per il servizio di sala. È un'idea che potrebbe risolvere quello che si conferma, sempre più, la bestia nera del comparto della ristorazione italiana – la mancanza di bravi camerieri - e che paga, e non poco, lo scotto di una professione ancora molto sottovalutata, messa in ombra dalla potenza mediatica degli chef. Il risultato? Tanti i candidati ai (pochi) posti liberi in cucina, nessuno o quasi a rispondere alle più numerose offerte di lavoro in sala. Perché sono in pochi a presentarsi e ancor meno quelli che hanno le competenze necessarie, che sono di diversa natura. Alcune molto tecniche, come quelle legate alla scienza dell'alimentazione, alle mansioni tipiche dell'F&B Manager alle tecniche di servizio; altre intangibili, ma fondamentali: grazia, garbo, eleganza nei gesti e nella voce, cultura generale, discrezione, professionalità. Tutto quello che può rendere la visita in un albergo o in un ristorante un'esperienza memorabile ma che è difficile tradurre in insegnamenti. Chi ha la fortuna di avere buoni collaboratori se li tiene stretti. Strettissimi. Tutti gli altri cercano chiedendo anche ai produttori di vino che, per lavoro, frequentemente si trovano ad avere a che fare con operatori del settore.

Enrica_Dominga_e_Marta_CotarellaEnrica Dominga e Marta Cotarella

“Le” Cotarella

È la cosiddetta “Emergenza sala”, di cui si è parlato molto e di cui ancora si parlerà. Ora, a tentare di colmare questo vuoto di personale qualificato ci pensano “le” Cotarella: Dominga, Marta ed Enrica, cugine, figlie dei fratelli Renzo e Riccardo, esponenti di una famiglia tra le più importanti nel mondo del vino e oggi, rispettivamente, direttore marketing e commerciale, responsabile delle attività di pianificazione e controllo, responsabile della comunicazione dell'azienda di famiglia. A loro si deve la creazione di Intrecci, una scuola di formazione sulla sala che si propone di “formare personale qualificato per l'accoglienza e il servizio nella ristorazione e nell'ospitalità alberghiera secondo lo stile italiano”. Una scuola elaborata sul modello dei campus anglosassoni dove la didattica in aula sposa la pratica e l'avviamento professionale, e lo fa in un contesto curato, che ingloba spazi per la formazione e per l'alloggio degli allievi, con camerate, mensa, foresteria, aree ricreative e di studio con attrezzature didattiche digitali e tradizionali.

 

L'idea

L'idea è stata di Dominga” spiega Enrica Cotarella “lei ha sempre tantissimo entusiasmo, è capace di trascinarci e trasmetterci la sua energia”. L'origine di questa idea è da cercare nei rapporti che la famiglia ha, da sempre, con i ristoranti. “Ci chiedono continuamente se conosciamo qualcuno di bravo per la sala e” racconta “a un certo punto abbiamo pensato che, dato che una scuola mancava, potevamo farla noi”. Forti di un'esperienza nella formazione, anche se finora solo in ambito enologico, e di una frequentazione assidua di grandi ristoranti in tutto il mondo. Da lì in poi è stato un lavoro febbrile per sviluppare il progetto, dalla definizione della didattica, agli aspetti burocratici, dalla scelta e l'adeguamento degli spazi dedicati alla formazione e all'ospitalità degli allievi, alla creazione delle sinergie con ristoranti, università, istituzioni, alla definizione del corpo docente.

Ci vorrà ancora un po' perché la scuola sia operativa - l'inizio dei corsi è previsto per gennaio 2018 - ma intanto l'idea prende forma. Ed è la prima esperienza del genere in Italia: un campus per 20 allievi che verranno preparati per il lavoro di accoglienza con un percorso di studi multidisciplinare dove, ovviamente, l'aspetto enologico avrà un ruolo importante ma non sarà l'unico né quello centrale. Perché, quello dell'accoglienza è un lavoro complesso, fatto di tante cose, su tutte: Carattere, Classe, Calore. Con la maiuscola non solo per sottolinearne l'importanza, ma anche per tracciare un ideale legame con il cognome delle tre artefici di questo progetto.

 

La scuola nell'ex oleificio di Castiglione in Teverina

Gli spazi e gli obiettivi

Inizialmente l'idea era di ospitare la scuola in uno degli spazi dell'azienda, a Montecchio, ma poi è venuto fuori che era disponibile l'ex oleificio di Castiglione in Teverina, uno stabile di proprietà del comune:“siamo andate a vederlo e abbiamo capito che quello di fronte al Muvis, il Museo del Vino e delle Scienze Agroalimentari, era il posto ideale”. Detto, fatto. E via a mettere a punto la didattica e i percorsi formativi. Il primo, e più articolato, dura un anno con la formula 6+6. Ovvero 6 mesi di teoria in aula e altrettanti di pratica, con stage in diverse strutture in Italia e all'estero. Proprio quelle (ma non solo) che erano andate in cerca di nomi validi. Perché il lavoro in sala richiede moltissime competenze: eseguire perfettamente il servizio di cibi e vini non basta, occorre saper risolvere ogni possibile imprevisto, conoscere vini, distillati, piatti, prodotti e tecniche di preparazione, parlare con gli ospiti in modo corretto e in diverse lingue, gestire l'immagine del ristorante, ma anche alcuni aspetti economici, districarsi in situazioni difficili o imbarazzanti.

 

La didattica

A chiedere a Enrica come si sono mosse per definire i corsi, risponde: “A sviluppare il percorso formativo e individuare le materie di insegnamento ci ha aiutato Matteo Zappile del Pagliaccio di Roma e dell'associazione NoidiSala”, la prima a dare visibilità e definire l'accoglienza professionale. Poi, ovviamente, intervengono le competenze di ognuna delle tre cugine Cotarella. “Avevamo una visione d'insieme, ma ci serviva il supporto di esperti del settore, ecco perché abbiamo voluto la presenza di NoidiSala, oltre a quella di professionisti nei vari settori”. Il risultato? Nei 6 mesi di aula saranno affrontate diverse materie, alcune più specialistiche, per esempio agronomia, enologia, antropologia della vite e del vino, economia e gestione delle attività ristorative (dal magazzino alle prenotazioni, dalla comunicazione all'organizzazione di eventi, dalla sicurezza sul lavoro alla gestione del personale), scienza degli alimenti, cultura agroalimentare con focus su produzioni tradizionali e sperimentali. Poi ci sono inglese e francese, tecniche di comunicazione e accoglienza, psicologia, public speaching, postura e dizione (per i quali sono stati chiamati docenti provenienti dal mondo del cinema e dl teatro), moda e stile. Con in più masterclass e visite in strutture ristorative e alberghiere, aziende alimentari o vitivinicole. E già a partire dal terzo mese ci sarà la pratica nel ristorante didattico di casa Cotarella.

Nell'offerta formativa anche corsi post lauream della durata di 3 mesi, e focus e masterclass su specifiche materie, pensati anche per chi già lavora.

 

Tra burocrazia e opportunità

A curare la didattica professionisti dei vari settori, imprenditori, professori universitari “il progetto è stato sposato da alcune Università che saranno partner per alcune materie di studio”. L'obiettivo è di creare un istituto di formazione riconosciuto a livello nazionale, per ora sono avviate le pratiche per l'accreditamento regionale. Un passo dopo l'altro, tra i molti in campo in questi giorni.

La retta, per il corso di un anno, è di 8mila euro, incluso vitto e alloggio, con diverse opzioni a scalare, e la possibilità di usufruire di borse di studio. “Stiamo lavorando anche su quello: abbiamo già stretto accordi con aziende, banche, e stiamo in contatto con diverse regioni, per le borse di studio e i bonus studenti” che consentirebbero agli allievi di pagare il corso dopo la fine della scuola, una volta ottenuto un contratto.

 

Intrecci | Castiglione in Teverina (VT) | piazza del Poggeto, 12 | www.intreccialtaformazione.com

 

a cura di Antonella De Santis

 
 

Il cartone della pizza anti umidità di Apple: l'idea è di un italiano

$
0
0

Un contenitore per la pizza rotondo, pensato per evitare che la condensa renda troppo umido il prodotto. Il brevetto è di Apple, che sta sperimentando il packaging nella caffetteria del nuovo Apple Park di Cupertino.

Dai Mac al cartone per la pizza, passando per la shopping bag

Pensate che Apple brevetti solo iPad, Mac e iPhone? Vi sbagliate. Sette anni fa, il gigante della tecnologia ha brevettato un cartone per la pizza rotondo, che ha cominciato a sperimentare sul campo con l'apertura di Apple Park, il nuovo campus con sede a Cupertino. Segno che la Mela vuole applicare i progressi della progettazione e del design anche agli oggetti quotidiani, che esulano dal settore specifico dell’I-Tech, come già aveva fatto con la paper bag, una borsa per lo shopping fatta quasi completamente con materiali riciclati. Nel caso del contenitore in sperimentazione alla caffetteria del nuovo campus, l’obiettivo è quello di migliorare l’esperienza dei lavoratori in pausa pranzo e rendere sempre più confortevole il lavoro d’ufficio.

 

Come è fatto il nuovo contenitore

L’idea è del 2012 ed è stata dedicata alla vita di Steve Jobs - un vero amante della pizza - venuto a mancare l’anno precedente. È stato un italiano a crearla, Francesco Longoni, che adesso è a capo del team di ristorazione di Apple. “L’obiettivo” si legge nella presentazione del brevetto,“è quello di diffondere un packaging strutturalmente stabile per contenere un prodotto che viene fruito in modi molto vari, e che sia anche ecologico”. Il contenitore, infatti, non ha solo la proprietà - banale ma finora poco sperimentata - di essere della stessa forma del prodotto, ma permette all’umidità di uscire. Come? La pizza è elevata dal fondo grazie a uno strato rinforzato, e una serie di buchi sul coperchio consentono un ricircolo d’aria rigorosamente studiato per evitare sia la formazione della condensa che un eccessivo raffreddamento. “Gli anelli concentrici che formano il contenitore”, continua la presentazione, “supportano la base della pizza, fornendo uno spazio d'aria tra esso e il fondo della scatola. Le clip applicate nella parte inferiore del coperchio, inoltre, garantiscono l'integrità della parete laterale, fondamentale per evitare che il prodotto venga schiacciato durante il trasporto”.

Un oggetto che finora non ha avuto grande visibilità perché la casa madre non l’ha ancora pubblicizzato, data la sperimentazione in corso. A scoprirlo però ci ha pensato il magazine Wired, accolto all’interno dell’Apple Park per un’ “ispezione” alla nuova sede: un edificio circolare che conta quasi un milione di metri quadrati di superficie in cui il big di Cupertino ha investito quasi 5 miliardi di dollari. Chissà se a breve catene molto famose come Domino’s Pizza decideranno di mandare in pensione il tradizionale contenitore quadrato per sperimentare la nuova creatura Apple.

www.theguardian.com/technology/2017/may/16/that-one-time-apple-patented-pizza-box

 

a cura di Francesca Fiore

Apre a Chicago il Nutella Cafe. Ferrero alla conquista del mercato americano

$
0
0

Dopo il successo dei corner dedicati all’interno degli store statunitensi di Eataly, Ferrero punta a consolidare la sua presenza sul mercato americano con un format indipendente, totalmente centrato sull’appeal del suo prodotto di punta: la Nutella. Il locale sarà bar e ristorante, e offrirà ai fan della crema alla nocciola spalmabile un’esperienza che va oltre la tavola. Sin dal design dello spazio, pensato come un gigantesco barattolo di Nutella.

Il mondo della Nutella. A Chicago

La Nutella è una di quelle cose che non si può fare a meno di amare. È più o meno questo il messaggio che da qualche settimana rimbalza da una testata all’altra negli Stati Uniti, specie tra la stampa locale di Chicago, che si prepara ad accogliere il primo Nutella Cafe dedicato alla crema alle nocciole più famosa nel mondo. Del resto un brand corazzato come quello che identifica il prodotto di punta della Ferrero, che in America e nel mondo vanta già diversi corner dedicati (tra i primi esperimenti quello all’interno di Eataly New York), ben si presta ad assecondare la moda degli specific place, locali monotematici che sulla vendita e l’appeal di un unico prodotto sperano di fondare il proprio successo. E il caso del Nutella Cafe, operativo dal prossimo 31 maggio, non fa che confermare la bontà della strategia. Tutti pazzi per la Nutella, dunque, che nel restaurant-bar di Chicago sarà protagonista assoluta, dal design del locale all’elaborazione di menu studiati per ogni momento della giornata. Perché del resto, si sa, in questi casi, più di ciò che arriva in tavola, il segreto per conquistare schiere di clienti adoranti che si prevede faranno a gara per entrare nel locale di MIllenium Park Plaza sta nell’enfatizzare quel fenomeno di identificazione e condivisione dell’esperienza su cui la strategia marketing di Ferrero ha sempre puntato. Ecco perché lo spazio, a vederlo da fuori, dovrebbe essere ispirato a un gigantesco barattolo di Nutella, diventato un’icona per gli amanti del genere.

Bar e ristorante. Il menu dolce e salato

Sviluppato su due piani, l’ambiente su strada avrà l’anima di una caffetteria open space, con bancone per gli ordini a portar via – per snack come gelato o crepes, waffle e crostata con mele e crema di nocciole – e tavoli informali; al piano superiore, invece, troverà spazio una dimensione più intima, con divani rossi e camini, dove fermarsi ad approfondire la conoscenza del menu, in gran parte composto, al capitolo salati, da pietanze semplici come pasta fredda e panini con lo speck. Ma i più coraggiosi potranno azzardare anche una “panzanella” rivisitata, con frutta immersa nello yogurt e generosa dose di Nutella a coprire. Bando al timore di scadere nel kitsch, in tavola come nella caratterizzazione degli spazi, tra lampadari a forma di fiore di nocciola e soffitti color cioccolato.

Ferrero sul mercato americano. Diffidate dalle imitazioni

Dal punto di vista imprenditoriale, l’operazione segna un traguardo importante per il marchio piemontese, che sulle sponde del lago Michigan tenta per la prima volta la strada della ristorazione: Ferrero curerà personalmente la gestione dell’attività, contando sul fascino di un brand di “sfondamento” come Nutella, che tre anni fa festeggiava i suoi primi 50 anni salda al comando dei prodotti Made in Italy più esportati nel mondo, presente in 100 Paesi per un fatturato annuale di 1.7 miliardi di euro. E anche l’inaugurazione - alle 10 della mattina si apriranno le porte del Nutella Bar - sarà un momento di spettacolo, con regali e sorprese per i primi 400 avventori. Così Ferrero punta a riconquistare il primato di un fenomeno che in passato ha rischiato di sfuggire al suo controllo: l’apertura di Nutella Bar, infatti, non è nuova per gli americani. Proprio nell’anno dei festeggiamenti per il 50esimo anniversario di Nutella, l’azienda di Alba ha dovuto prendere le distanze da chi cercava di sfruttarne il nome e l’appeal per conquistare il mercato di New York. Ma la Nutelleria di Brooklyn– presto ribattezzata Nuteria per non incorrere nelle procedure legali minacciate da Ferrero – non ha avuto il successo sperato, e dopo appena un anno ha chiuso i battenti. Diverso il caso di Toronto, dove dalla fine del 2015 è ancora in attività il Nutella Cafè all’interno del centro commerciale Sobeys Urban Fresh, tra bombe ripiene, waffle e cioccolate calde.

La strategia d’espansione

Ma ora in casa Ferrero i tempi sono decisamente maturi per prendere in mano le redini della questione. Appurato il successo della formula corner bar, già apprezzata anche all’interno di Eataly Chicago, solo due mesi fa Ferrero International annunciava l’acquisizione di Fannie May, celebre produttore statunitense di cioccolato (per i marchi Fannie May e Harry London), e Giovanni Ferrero, Ceo del gruppo di Alba, non mancava di rimarcare l’importanza strategica dell’operazione: “Gli Stati Uniti rappresentano un importante mercato con un grande potenziale di crescita per Ferrero e siamo entusiasti dell’opportunità di poter supportare lo sviluppo di una grande marca americana, mentre accresciamo la nostra presenza in questo mercato (dove Ferrero opera dal 1969, quando presentò le sue Tic Tac, ndr)”. E non è un caso che proprio dove un tempo sorgeva uno degli store di Fannie May – brand nato a Chicago nel 1920 – aprirà i battenti il primo (di una lunga serie?) Nutella Cafe. Appuntamento al numero 151 di Michigan Avenue.

 

a cura di Livia Montagnoli

Soave Preview report. I migliori assaggi dell'annata 2016

$
0
0

Da Soave Preview assaggi e riflessioni su alcuni nodi cardine dell'enologia: dal concetto di mineralità al risultato della zonazione con il riconoscimento delle vigne storiche, all'allevamento a pergola che segna il profilo delle colline.

Si è appena conclusa l’anteprima della nuova annata del Soave, con un programma di degustazioni e seminari particolarmente interessante. L’evento, organizzato dal Consorzio di Tutela del Soave, nelle giornate del 18 e 19 maggio, ha visto la partecipazione di 62 aziende e la presenza di ben 134 etichette ai banchi d’assaggio. Quest’anno Soave Preview è stata l’occasione non solo per degustare i vini del millesimo 2016, ma anche per affrontare alcuni temi legati al territorio della denominazione, come la storia e il futuro del sistema di coltivazione a pergola, la recente creazione di una mappa dei Grandi Cru e la discussione sull’ambiguo e sfuggente concetto di “mineralità” dei vini.

 

I numeri del Soave

L’area della denominazione Soave si estende su una superficie vitata di circa 7000 ettari, suddivisi tra circa 3000 aziende di varie dimensioni, che spaziano da piccole realtà familiari a grandi gruppi e cantine sociali. La produzione annua di bottiglie si attesta sui 50 milioni, per un valore complessivo dell’intera filiera di 250 milioni di euro. Il vino Soave è consumato per un 20% in Italia, mentre 80% viene esportato all’estero. I mercati europei ne assorbono circa il 60%, con in testa Germania, Inghilterra e paesi del Nord Europa. Il restante 40% dell’export è destinato ai paesi extra europei, con una quota del 20% degli Stati Uniti.

i cru di soaveMappatura dei cru di Soave

 

I cru di Soave

Seguendo la tendenza di altre denominazioni italiane, con la recente modifica del disciplinare, anche Soave ha introdotto una classificazione dei migliori cru del territorio.È il frutto finale di un lungo lavoro di zonazione, che ha impegnato il Consorzio per quasi 20 anni. Un passo importante per riconoscere e dare valore alle parcelle storicamente più vocate della denominazione e per mettere in luce le differenze tra i vini provenienti da diverse zone. I cru di Soave corrispondono ad aree coltivate con vigne storiche, che presentano caratteristiche assolutamente peculiari per microclima, esposizione, altitudine, composizione e origine geologica dei terreni. L’introduzione nel disciplinare delle menzioni geografiche aggiuntive, così sono chiamati i cru nel nostro linguaggio burocratico, è stata anche l’occasione per degustare 12 vini provenienti da alcuni dei Grandi Cru più famosi e per assaporare nel bicchiere le differenze tra le varie zone del territorio del Soave.

 

La pergola tra passato e futuro

Basta uno sguardo alle splendide colline di Soave per notare che ci si trova di fronte a un paesaggio vitato dalle caratteristiche particolari, segnato in modo evidente dalla presenza di vigne coltivate con il metodo tradizionale della pergola. Proprio di quest’antico modo di coltivare la vite si è parlato a Soave Preview. In Italia l’allevamento della vite a pergola rappresenta solo il 10%, ma a Soave quasi l’85% dei vigneti continua a essere condotto con questo sistema. Una peculiarità che ha sicuramente ragioni storiche, ma non solo. L’origine della pergola affonda le sue radici nell’antichità, quando la vite era allevata in simbiosi con alberi o tutori, che ne consentivano un ampio sviluppo, non solo verticale, ma anche parallelo al terreno. L’intervento del professor Attilio Scienza, dell’Università di Milano, ha sottolineato gli aspetti legati alla genesi storica della pergola, come sviluppo della vite maritata alle piante.

Tuttavia, la sopravvivenza della pergola all’avanzata della moderna viticoltura a spalliera, non è dovuta solo alla tradizione. La dottoressa Federica Gaiotti ha evidenziato alcuni vantaggi della pergola rispetto al guyot, soprattutto in relazione ai cambiamenti climatici degli ultimi decenni. L’aumento delle temperature medie e soprattutto la presenza di frequenti picchi termici duranti i mesi estivi, sembrano giocare a favore della vecchia pergola. Le situazioni climatiche estreme sono causa di stress intensi per la pianta e portano a maturazioni sempre più rapide, accelerando il ciclo fenolico della garganega di un paio di settimane rispetto a 30 anni fa. Un cambiamento che può avere come conseguenza una degradazione rapida degli acidi e una presenza elevata di zuccheri, con produzione di uve poco bilanciate. I vigneti a guyot sembrano accentuare queste tendenze, anche con frequenti bruciature delle foglie, della buccia degli acini e con il rischio di una surmaturazione dei grappoli. La forma d’allevamento a pergola, invece, può contribuire a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, garantendo una buona copertura dall’irraggiamento solare, con temperature delle uve più basse di 3-4 °C rispetto al guyot. A parità di grado d’acidità, le uve provenienti da vigneti a pergola contengono meno zuccheri, hanno profili aromatici più complessi e regalano vini freschi ed eleganti. Tutte buone ragioni per continuare a preservare la tradizione della pergola, che oltre a fornire vini di alta qualità, contribuisce a conservare intatta l’identità storica e paesaggistica del territorio di Soave.

 

mineraità

La mineralità, questa scononosciuta

Il termine mineralità è tra più usati e abusati nel mondo della comunicazione del vino. Il seminario, provocatoriamente intitolato Does minerality exist?, condotto da Alessandro Brizi con l’enologo Salvo Foti e John Szabo, autore del libro Volcanic Wine, ha cercato di fare chiarezza su un concetto spesso sfuggente. L’utilizzo della parola mineralità è recente. È stata introdotta nell’area anglosassone negli anni ’80 e ’90. Il suo successo è stato però immediato, perché poteva essere usata per descrivere una serie di sensazioni che non rientravano nei marcatori dei profumi e degli aromi classici.

È difficile però dare una definizione univoca di un termine così generico. Con l’aiuto di una degustazione di 12 etichette provenienti da territori vulcanici di tutto il mondo, si è tentato di identificare una serie di elementi caratteristici che si possono riassumere in una sensazione al palato di viva freschezza, unita a un gusto decisamente sapido, a volte accompagnato da sentori di pietra focaia o idrocarburo. Si tratta sostanzialmente di caratteristiche che si ritrovano generalmente in vini prodotti da vigne coltivate su suoli vulcanici o comunque molto ricchi di sostanze minerali, con vitigni ricchi di norisoprenoidi e caratterizzati da ph tali da trasmettere sensazioni di vibrante acidità. Altro elemento che potrebbe avere una certa influenza sulla presunta mineralità è l’età avanzata delle vigne, che grazie a un apparato radicale particolarmente sviluppato e profondo, sono in grado di raccogliere i sali minerali dal terreno e di trasferirli poi al frutto. Resta comunque difficile dare una definizione precisa a una sensazione, ma se la mineralità esiste, certamente i vini provenienti da territori vulcanici sono tra i più adatti a trasmettere al palato questa particolare percezione gustativa.

soave

L’annata 2016, migliori assaggi

L’annata 2016 arrivava dopo due millesimi opposti ed estremi. A un 2014 caratterizzato da vini sottili, di grande finezza ed eleganza, freschi e verticali, ha fatto seguito un millesimo come il 2015, contrassegnato da una ricchezza quasi opulenta, con vini maturi, fin troppo densi di frutto e non sempre ben bilanciati sulle acidità. L’annata 2016 è cominciata con un inverno non particolarmente freddo e un buon inizio di primavera, che ha favorito un avvio ottimale della fase vegetativa e del germogliamento. A un giugno piovoso e problematico da un punto di vista fitosanitario, ha fatto seguito un’estate dal clima regolare, con buone escursioni termiche fino a tutto settembre, che hanno contribuito a una maturazione graduale e ottimale della garganega.

L’andamento climatico classico ed equilibrato dell’annata ha trovato perfetta corrispondenza nei vini, la degustazione di una settantina di etichette del 2016 ha confermato la bontà del millesimo. In generale i vini sono caratterizzati da profili olfattivi eleganti e intensi, bella struttura, con frutto sempre ben bilanciato da una vivace acidità, che rende il sorso piacevolmente dinamico. Vini di grande equilibrio, che seppur giovani, denotano già un bel potenziale d’evoluzione. Tra gli assaggi che ci hanno particolarmente convinto, segnaliamo le seguenti etichette:

 

Soave Classico Doc “Ca’ Visco” - Coffele

Soave Classico Doc Monte di Fice - I Stefanini

Soave Doc - Tamellini

Soave Classico Doc - Gini

Soave Doc - Suavia

Soave Classico Doc Monte de Toni - I Stefanini

Soave Classico Doc “Castelcerino” - Coffele

Soave Classico Doc - Balestri Valda

Soave Classico Doc “La Capelina” - Franchetto

Soave Doc Classico San Michele – Ca’ Rugate

 

 

 

a cura di Alessio Turazza

 

Positano – Stati Uniti e ritorno. Le Sirenuse raddoppia a Miami

$
0
0

Dalla Costiera Amalfitana a Miami, il leggendario Le Sirenuse ha portato un po' del fascino di Positano in Florida. E anche un po' della sua cucina. Ecco come ci è riuscito.

Nel ’53 Le Sirenuse sbarca in America in un racconto di John Steinbeck in viaggio a Positano. Lo scrittore si era deciso al viaggio su suggerimento di Alberto Moravia “Perché non andate a Positano, sulla costa amalfitana? disse; è uno dei più bei posti d’Italia”. Steinbeck ne rimane stregato. “Andammo alle Sirenuse, una vecchia casa padronale trasformata in albergo di prim’ordine, immacolato e fresco, con una pergola sopra i tavoli all’aperto. Ogni stanza ha il suo piccolo balcone e spazia sul mare azzurro fino alle isole delle Sirene, dove quelle signore cantavano cosi dolcemente. Il proprietario dell’Hotel Sirenuse è un nobile italiano, il marchese Paolo Sersale, che è il sindaco di Positano: un bell’uomo sulla cinquantina, che veste come un pescatore e ha un monte di daffare come sindaco. La storia della sua nomina è divertente, archeologo, filosofo e sindaco, comunista per scelta, tra elettori monarchici”.

le sirenuse positano

Le Sirenuse Positano

 

Oggi quel racconto di sessanta anni fa suona come una promessa: portare Le Sirenuse in America. Antonio Sersale, ci pensava da tanto, il suo sogno si è appena realizzato.

A Miami, nel bel mezzo del nuovo distretto extralusso The Surf Club di Four Seasons, a firma Richard Meier & Partners, ha incastonato una gemma, stesso nome stessa identità. Insomma, Le Sirenuse Restaurant ora è anche oltreoceano. Prende posto negli spazi di sala da ballo e loggia del vecchio club anni ’30, avamposto di architettura coloniale riportato a nuova vita.

Sirenuse appartiene alla collezione Leading Hotels of the World, gruppo fondato nel 1928, che raccoglie hotel di lusso autentici, fuori dal comune, speciali per il modo in cui rappresentano cultura e stile di vita dei luoghi in cui nascono.

{gallery}sirenuse{/gallery}

 

Una bella sfida provare a trasferire tra i grattacieli di Miami un’icona di stile che appartiene alla Costiera Amalfitana. Ulisse salpa l’oceano sedotto dal canto delle sirene?

All’inizio mi davano del matto, mi dicevano che vedevo Le Sirenuse in ogni angolo del mondo. Nei miei progetti c’era Miami. Ero attratto dal contrasto tra due luoghi così diversi: la costa frastagliata di Amalfi, le strade tortuose con i panorami mozzafiato a ogni curva e la linea piatta delle spiagge infinite di Miami, frastagliata sì, ma dai grattacieli. Ero pronto a salpare.

 

Tovaglie di lino da lavare e stirare ogni giorno, posateria d’argento da lucidare, ogni giorno, e i delicatissimi bicchieri d’arte di Carlo Moretti in cristallo di Murano soffiato a bocca. A Positano accesso bandito all’illuminazione artificiale, il ristorante è illuminato da 450 candele, da accendere (e spegnere) ogni sera. Come si fa a coinvolgere gli americani nelle nostre tradizioni più antiche?

Ero pronto alla negoziazione più strenua, ho lottato, pianto e urlato per proteggere un progetto in cui credevo. In Italia la trattoria più sperduta non aprirebbe senza prima apparecchiare i tavoli con le tovaglie. Il giorno in cui abbiamo alzato la bandierina del Sirenuse al Surf Club ho capito che ne era valsa la pena.

 

Le Sirenute - Gennaro Russo. Foto di Roberto Salomone

 

Come è stata l'accoglienza in America?

Quando hanno cominciato a chiedermi dove mai si trovasse “Le Sirenuse” ho realizzato che era venuto il momento di dar conto di tutto quanto avevo portato qui, ma come fai a spiegare Positano a parole? La sua gente, la bellezza di svegliarti con quella luce, su quel panorama? Eppure era questa la sfida: ispirare le persone per farle avvicinare a quel mondo, che è uno stile di vita. Sarà dura riuscire a far pronunciare correttamente Le Sirenuse, ma capisco anche che chi non è stato a Positano può non vedere la ragione per cui pronunciarlo con accento italiano.

 

A Positano chef Gennaro Russo è ormai il piccolo grande saggio de Le Sirenuse. Curriculum pluristellato a Parigi da Lasserre e L’Ambroisie. Gavetta da Don Alfonso e poi al fianco di Massimo Bottura all’Osteria Francescana di Modena, prima di tornare a La Sponda come titolare. Com’è andata la sfida ai fornelli a Miami?

Sapevamo bene cosa volevamo, il punto era riuscire a replicarlo a Miami con gli stessi standard, in forma autentica, non in copia. A Positano Gennaro Russo ha riconfermato la Stella Michelin presa in consegna da Matteo Temperini. Con lui c’è un’intesa perfetta, fatta di rigore, disciplina e conoscenza profonda della tradizione, elementi imprescindibili per esprimere creatività in questo settore. Personalmente sono spesso in cucina, e spesso Gennaro vuole il parere mio e di mia moglie Carla, sulle novità allo studio, come è capitato ieri, con le alici costierane farcite al pane, guazzetto, e rete di aglio nero.

 

le sirenute miamiLe Sirenute Miami

 

E in Florida?

Per Miami cercavo la stessa sintonia creativa, ho realizzato di averla trovata quando ho assaggiato il primo piatto di spaghetti al pomodoro di chef Antonio Marmolia. La cucina non era ancora completata, in giro operai che urlavano e le prove antincendio in corso, insomma non di certo un buon momento per concentrarsi sulle emozioni del palato. È stato invece in quel preciso istante che un’esplosione di sapore ha prevalso su tutto e ho capito che Positano e Miami, due luoghi così diversi e lontani, avrebbero preso posto uno accanto all’altro, nel mio cuore.

 

Le Sirenute Miami antonio mermoliaLe Sirenute Miami Antonio Mermolia

 

Quale è la relazione tra i due posti?

I due chef restano indipendenti ma sempre in collaborazione. Quando occorre, Gennaro viaggia con Antonio Sersale a Miami per testare nuovi menu insieme a chef Mermolia. Sirenuse Miami si genera per talea da Positano e prende vita propria esportando il mediterraneo al sole della Florida. Insieme ai sapori in cucina lo stile Sirenuse approda oltreoceano e un po’ di tropico arriva anche in Costiera Amalfitana.

 

Sirenuse Positano | Positano (SA) | Via Cristoforo Colombo, 30| tel. 089 875066http://sirenuse.it/it

Sirenuse Le Sirenuse At The Surf Club | USA | Miami Surfside, FL 9011 Collins Avenue | tel. +1 (786) 482-2280http://sirenusemiami.com/en

LHW Leading Hotel of the World http://it.lhw.com/

 

a cura di Emilia Antonia De Vivo

 

Paolo Cuccia al 4PRIMA Stakeholder Forum. Si parla di innovazione e sostenibilità nell'agroalimentare

$
0
0

Va in scena all'Università di Siena la giornata di incontri dedicati alla piccola e media impresa italiana e dell'area mediterranea sensibile alle soluzioni sostenibili della ricerca in ambito agroalimentare. E interviene anche Paolo Cuccia, portando l'esperienza e l'impegno del Gambero Rosso, come realtà di riferimento del settore agroalimentare. 

Per un agroalimentare sostenibile nel Mediterraneo

Il 22 maggio, a Siena, si incontrano i principali attori industriali del panorama italiano e internazionale per rispondere alle sollecitazioni della ricerca e dell'innovazione euro-mediterranea sui temi alimentari e idrici. L'occasione è il 4PRIMA Stakeholder Forum (l'acronimo PRIMA indica in inglese la collaborazione per la ricerca e l'innovazione nell'area mediterranea), che l'Università degli Studi di Siena organizza ogni anno per rafforzare il legame tra ricerca, innovazione e know how industriale, con particolare attenzione alle imprese mediterranee del settore agroalimentare. E infatti il forum poggia le basi sulla collaborazione con SDSN, la rete di soluzioni per lo sviluppo sostenibile, con l'intento di fornire le linee guida per una distribuzione e approvvigionamento razionale delle risorse alimentari e idriche che possono contribuire a migliorare il benessere delle comunità, agire positivamente sullo sviluppo economico di un territorio, implementare la competitività aziendale. Condizioni essenziali, si legge nella mission del progetto, per il progresso sostenibile delle società del Mediterraneo. E infatti l'appuntamento senese, con il patrocinio della Regione Toscana, sarà solo il primo stimolo in vista della partecipazione delle aziende coinvolte ai progetti che saranno lanciati nel 2018. All'incontro, che per tutta la giornata si articolerà presso il Santa Chiara Lab, partecipano quindi i rappresentanti delle piccole e medie imprese del settore agroalimentare, giovani ricercatori e associazioni di categoria, consumatori e istituzioni politiche e finanziarie.

Il forum. E la tavola rotonda con Paolo Cuccia

E il programma dei lavori affronta temi che spaziano dall'agricoltura di precisione all'acquaponica, all'innovazione dei processi produttivi in ambito alimentare. A conclusione anche la presentazione dei cortometraggi finalisti al Visionaria International Short Film Festival, indirizzato a premiare le pellicole che trattano il tema della sostenibilità alimentare e idrica. Ma prima, dalle 16.30, la tavola rotonda con i rappresentanti del PRIMA Stakeholder Board, che vedrà la partecipazione di Paolo Cuccia, in qualità di presidente del Gambero Rosso, realtà di riferimento nel settore agroalimentare, a livello nazionale e internazionale. Non a caso, Gambero Rosso aderisce al Board di controllo per favorire il dialogo tra ricerca e aziende di settore, così da sollecitare lo sviluppo dei progetti del PRIMA, garantendone la diffusione sul territorio nazionale. Tema della tavola rotonda – che vedrà partecipare ancheMaria Cristina di Domiziodella Federazione Italiana dell'Industria Alimentare, Sara Guerrini, El Sharkawi, Bugrahan Akcay, Josè Santos, Amr Helal, Carlos Lopes de Sousa, ognuno in rappresentanza dei Paesi del Mediterraneo coinvolti, con la moderazione di Angelo Riccaboni, chair di PRIMA – sarà il dialogo tra piccola e media impresa e mondo accademico, con particolare attenzone sui fattori utili ad agevolare la partecipazione delle aziende alle iniziative del programma PRIMA, a supporto dell'introduzione di innovazioni sostenibili nel settore.

 

www.prima4med.org


Nuove aperture a Milano. Il Vietnam di tendenza di Saigon, i cocktail di Ideal e un salto nella Toscana di ToscaNino

$
0
0

Sempre movimentata la scena gastronomica milanese, che continua a battezzare nuove formule di pizzeria – l'ultima è la pizza biscottata gourmet – e intanto alimenta l'intrattenimento delle serate in città. A ognuno la scelta più congeniale: la cucina etnica di Saigon o la miscelazione di qualità di Ideal? 

Ancora pizza gourmet. Biscottata

Mentre la prima, attesissima, apertura della catena anglo-orientale Wagamama, sposta i riflettori su Bergamo e lo scalo di Orio al Serio (ma presto, fanno sapere dalla Percassi, sarà individuato anche lo spazio giusto per inaugurare a Milano), anche il capoluogo lombardo non si fa mancare qualche allettante novità per movimentare la già congestionata – al tempo stabilire chi resisterà - ristorazione cittadina. E se è vero che la pizza ha giocato un ruolo da leone per tutta l'ultima annata – tra le new entry ormai acquisite l'esperimento dedicato all'olio di Gino Sorbillo, con Olio a Crudo, e la pizza con abbinamento miscelato di Garage in corso Sempione, ma pure il raddoppio di Dry in viale Vittorio Veneto, modello indiscusso del format pizza e cocktail – su farine e lievitazioni c'è ancora tanta voglia di scommettere. Anche in versione “pizza biscottata”, un brevetto di Carlo Samuelli che da qualche settimana dispone di uno spazio tutto suo in via Pisacane, zona Porta Venezia, con il laboratorio gastronomico della Pizza Biscottata Gourmet. Insomma, ancora una volta Milano si conferma piazza privilegiata per chi ha voglia di sperimentare su un prodotto altrove imbrigliato nei canoni di tradizioni radicate, e vincolanti. E invece, in sei varianti, il locale di chef Samuelli propone pizze biscottate da lunga lievitazione divise in quattro spicchi e condite a guisa di pizza gourmet, con ingredienti aggiunti fuori cottura. E prima della pizza l'amouse bouche del giorno, variazioni sul tema con la pasta lievitata. Si mangia al tavolo (anche nel dehors su strada), o al banco, in uno spazio che non evoca l'immaginario di una pizzeria tradizionale (e del resto non è questo l'obiettivo), ma è comunque rilassato e informale. Da bere birre artigianali, carta dei vini, bollicine italiane.

 

Saigon. Cucina vietnamita, di tendenza

Ma oltre alla pizza c'è di più, mutuando un celebre ritornello di inizio anni Novanta. Come il chiacchieratissimo Saigon, ristorante vietnamita in attività da una settimana appena solo per gli addetti ai lavori, e già sotto i riflettori. La proposta, lo dichiara l'insegna, si orienta sui piatti tradizionali del Sud Est asiatico, intercettando una tendenza trasversale per riversarla in un ristorante con bar in stile coloniale decisamente pensato per diventare ritrovo alla moda delle serate meneghine. A scommetterci è Luca Guelfi, già proprietario del messicano Canteen (ma pure del discusso Ricci, il ristorante di Belen, per intenderci), che in via Archimede ci riprova con zuppe di Pho e noodle, che gli appassionati di cucina orientale potranno sperimentare a partire dal 6 giugno, primo giorno di apertura al pubblico. In sala piante tropicali e grandi tele di artisti asiatici alle pareti, con complementi d'arredo che strizzano l'occhio allo stile coloniale francese della prima metà del Novecento, con tanto di ventilatori a soffitto d'epoca importati dall'India, luci soffuse e tappezzerie importanti alle pareti. Dal menu una serie di suggestioni più o meno attinenti all'originale, come la Pho Bo con noodle in brodo di carne, i ravioli di tapioca con gambero rosso, la tartare di manzo in stile Saigon, l'insalata di anatra laccata. Da accompagnare con cocktail della casa, anche questi d'ispirazione orientale. Per una spesa media intorno ai 60 euro e apertura fino a tarda notte, con djset dalle 22.30 (mentre la cucina è aperta fino a mezzanotte).

 

Ideal. La tripletta di The Botanical Club

Di miscelazione di qualità, invece, si parla da un paio di giorni in via Salutati, dove la squadra di The Botanical Club ha appena inaugurato il suo terzo locale in città: Ideal. Un nuovo progetto per Alessandro Longhin e Davide Martelli, che negli ultimi due anni si sono imposti come punto di riferimento per gli amanti del gin (che distillano nel primo locale di Isola, con l'etichetta Spleen et Ideal). Un piccolo spazio, con la grande bottigliera che recupera una libreria ottocentesca, luci soffuse, atmosfera intima e preziosa - "sofisticato, ma inclusivo" lo definisce Alessandro -  che si discosta dunque dalle aperture precedenti, sin dalla strategia di posizionamento geografico, non più nella movida di Isola o Tortona, ma in zona Vercelli, quartiere residenziale della città: "L'abbiamo pensato come il luogo ideale dove bere in tranquillità, magari per un appuntamento di lavoro, senza necessariamente doversi rifugiare nel bar di un hotel, che ha un'impostazione più classica. A noi piace mantenere la nostra attitudine ricercata, con una nota un po' punk". Un posticino nascosto, dunque, ma no respingente. La dimensione è quella giusta per sorseggiare un drink al banco (20 persone al massimo, tra sgabelli e qualche tavolino): oltre al gin della casa e alla lista dei cocktail creativi, anche una carta di 12 Martini, che si rinnoverà di continuo per creare una sorta di Bibbia del Martini, raccontato a partire dal rapporto percentuale tra gin e vermouth, "perché a Milano manca un posto dove si beve gin da religiosi". Niente cucina, "per tutelare al massimo il lavoro del cocktail bar", ma snack generosi per accompagnare i drink, dai pomodorini secchi alle chips di verdure essiccate. Dalle 19 alle 2. Mentre il duo del gin si riserva di regalare presto altre sorprese.

Ma dal 24 maggio (opening ufficiale dalle 18) gli amanti della miscelazione troveranno rifugio anche in zona Porta Romana, al The Spirit Unique and Magic Cocktail Bar, che nasce dalla collaborazione tra Fabio Bacchi – nome di riferimento del bartending milanese, già capo barman dell'Hotel Principe di Savoia di Milano - e Carlo Simbula. Nel piccolo locale in stile Liberty di via Piacenza, tra specchi e giochi di luce, si mixeranno distillati rari e cocktail inediti.  

 

ToscaNino. Vetrina toscana a Milano

Mentre tornati in zona Porta Venezia, è attesa a brevissimo l'inaugurazione di ToscaNino, format nato con il patrocinio del Comune di Firenze e della Regione Toscana per lanciare i prodotti dell'eccellenza regionale nelle principali capitali del mondo (otto le mete individuate, oltre a Milano anche Londra, Amsterdam, Barcellona, Berlino, Bordeaux, Bruxelles e Dubai). Una vetrina per prodotti e produttori toscani (350 da 120 realtà, oggettistica compresa; dietro c'è lo scouting della Galateo Ricevimenti di Simone Arnetoli) che a Milano ha già preso forma in via Lambro, dove si potrà sperimentare la formula cucina e bottega, anche per un pranzo take away. E con apertura dalla colazione al dopocena, compresa una proposta di cocktail a peritivi con distillati toscani.

 

La Pizza Biscottata Gourmet | Milano | via Pisacane, 55-57 | tel. 02 29519815

Saigon | Milano | via Archimede, 53 | tel. 02 70101966 | dal 6 giugno

Ideal | Milano | via Coluccio Salutati, 17 | dalle 19 alle 2 | chiuso il lunedì

The Spirit | Milano | via Piacenza, 15 | tel. 02 84570635 | www.thespirit.it 

ToscaNino | Milano | via Lambro, 7 | prossima apertura | www.toscanino.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Oli d'Italia 2017. Olivicoltore dell'anno: Frantoio Franci di Castel del Piano

$
0
0

Un'azienda nata alla fine degli anni '50 che si è sviluppata nel tempo diventando un punto di riferimento per tutti i produttori appassionati. La storia di Frantoio Franci, del suo percorso nel settore olivicolo, e i suoi nuovi progetti.

Tutto ha inizio con un fienile nel comune di Castel del Piano, in provincia di Grosseto. Due fratelli con la passione per la campagna e un pallino per l'olio buono. Una piccola azienda agricola che oggi rappresenta una delle più importanti realtà olivicole della Penisola. Le etichette di Frantoio Franci sono da anni riconosciute dalla nostra guida Oli d’Italia come alcune fra le migliori del panorama nazionale, e nell'edizione 2017 sono valse all'azienda e al suo team il titolo di Olivicoltore dell'anno.

Le origini

Nel '58 mio padre, Fernando, insieme a mio zio, Franco, decisero di acquistare un fienile e un piccolo uliveto”, racconta Giorgio Franci, attuale proprietario. “Col tempo, il fienile è stato trasformato in un frantoio e si è iniziato a lavorare per conto terzi”. Una piccola produzione con poche ambizioni, questo almeno fino al '95. “Stavo studiando architettura a Firenze quando, per motivi familiari, sono dovuto tornare a casa ad aiutare in frantoio per qualche mese”. Un periodo di tempo breve, una piccola collaborazione che si è trasformata poi nella passione di una vita. “Dopo i primi giorni ho iniziato a vedere l'attività con occhio critico e mi sono chiesto: perché non cominciamo a confezionare olio creando un mercato nostro?”. Niente da fare, ci hanno già provato ed è andata male”, è stata la risposta della famiglia. Ma il giovane Giorgio ormai aveva le idee chiare, un obiettivo preciso e una scintilla di entusiasmo crescente verso questo mondo. Così, un anno dopo viene presentata al Vinitaly la prima etichetta a marchio Franci: “Dopo aver saputo il prezzo – 15mila lire per una bottiglia da mezzo litro e 20mila per una da 750ml – il primo cliente mi disse che a quelle cifre non sarei mai riuscite a vendere olio”. Ma alla fine si convinse e lo acquistò, “forse solo per gentilezza”. O forse no. “Ancora oggi è uno dei nostri clienti più affezionati”. Dopo le prime esperienze, per il giovane olivicoltore l'extravergine diventa la priorità principale: “Mi ha preso sempre più la mano, al punto che credo di non essermi mai preso un giorno di ferie da più di 10 anni a questa parte”. L'interesse si trasforma in passione, la passione in amore e l'amore in rispetto, per la natura e i suoi frutti: “Mi sono lanciato a capofitto in questa avventura, un po' per caso, un po' per fortuna. Il mio obiettivo è quello di realizzare oli buoni”.

Le prime etichette e i concorsi

In principio fu il Villa Magra, “un olio molto intenso, forse troppo”, un blend di frantoio, moraiolo e leccino.

 

Villa Magra

Qualche anno dopo l'azienda inizia a produrre un fruttato leggero a base di olivastra seggianese “con cui abbiamo cominciato a partecipare ai concorsi”. Arrivando secondi al premio di Legambiente e ricevendo una gran menzione per il Leone d'oro. Era il '97 e le competizioni olearie erano ancora lontane dall'acquisire il ruolo rilevante che hanno oggi. Ma per i più lungimiranti, queste rappresentavano un'occasione unica di confronto e crescita, specialmente in un tempo in cui la comunicazione sull'extravergine era molto limitata. “I concorsi per me sono stati fondamentali”. L'anno dopo, nel '98, ci riprova con il Leone d'oro, classificandosi secondo: “Uno dei giudici mi prese da parte e mi fece i complimenti. Per me fu uno stimolo per migliorare ancora”. E vincere l'anno seguente con Le Trebbiane, un blend di frantoio, moraiolo, leccino e olivastra seggianese. Un premio che riecheggia in tutto il territorio: “La stampa locale pubblicò diversi articoli al riguardo e così, gradualmente, il nostro lavoro - ma più in generale il settore olivicolo - iniziava a far parlare di sé”. Con grandi difficoltà e tempi molto lunghi, almeno fino al 2005. “Dai primi anni 2000 lo scenario è cambiato: i clienti cominciavano a venirci a cercare e questo accresceva la passione ma anche la pressione durante la stagione produttiva”.

La crescita e gli altri prodotti

A quelle prime etichette se ne sono aggiunte altre poco dopo. “Cerchiamo di avere una selezione ampia, in grado di soddisfare chiunque, dall'esperto che ricerca un olio elegante e sofisticato alla signora Maria che ha bisogno di un olio meno complesso e più versatile da utilizzare tutti i giorni in cucina”. Una linea base, dunque, che comprende un Igp Toscano, un Igp Toscano biologico e altre tre blend, le selezioni, con il Villa Magra, Le Trebbiane, l'Olivastra Seggianese e il Delicate, blend di frantoio, moraiolo e leccino. E infine i cru: il Villa Magra Gran Cru, monocultivar di frantoio, il Moraiolo e il Rose Grand Cru.

 

Franci, selezione

Una produzione ampia, realizzata con circa 15mila piante che si estendono per 65 ettari di terreno, “a cui se ne aggiungeranno presto altri 10, prevalentemente di varietà frantoio”. Per un totale di circa 1200/1300 quintali di olio prodotti durante l'ultima campagna olearia.

L'olivastra seggianese

La più rappresentativa delle cultivar è l'olivastra seggianese, “molto complessa e difficile da gestire”. Ma perché? “Somiglia molto a un ulivo selvatico. Ha una vigoria maggiore ma inizia a produrre più tardi. Bisogna attendere oltre 10 anni prima che la pianta dia i suoi frutti”. Inoltre, è una pianta “permalosa, come dicono gli agricoltori più anziani del luogo”, perché va potata ogni 3-4 anni circa. Quando viene effettuata, inoltre, la potatura deve essere “più drastica”, a partire dai polloni (rami che si sviluppano sul tronco o ai piedi della pianta) dopo il periodo di allegagione (passaggio da fiore a frutto). I frutti vanno raccolti quando ancora verdi o a inizio invaiatura, “solitamente fra l'ultima decade di ottobre e la prima di novembre”. Il prodotto che si ottiene è “molto stabile, al punto che spesso un olio dell'anno passato viene scambiato per uno della campagna in corso”. Perché riesce a durare più a lungo nel tempo conservando – se pur in forma più lieve – aromi e profumi. Questo discorso, naturalmente, vale solo per poche etichette e di qualità ed esclusivamente a patto che la bottiglia sia stata conservata in maniera adeguata, ovvero lontano da fonti di luce, calore e ossigeno, con il tappo sempre ben avvitato e in un luogo fresco e asciutto.

Professione olivicoltore

Ma qual è il primo passo per avere delle piante sane e vigorose? “La primavera è un periodo molto delicato per gli ulivi; è adesso che vanno prese le decisioni più importanti”. Un esempio? “Lo scorso anno le piante avevano una grande vigoria, le foglie erano strutturate bene e avevamo avuto un inverno molto piovoso”. Gli ulivi, quindi, si stavano preparando alla fioritura, “che prometteva molto bene” e così Giorgio ha scelto di non intervenire con la potatura e procedere con la sola concimazione, “abbiamo voluto lasciar fare alla pianta il proprio corso, senza effettuare tagli”. Perché non sempre, in natura, si possono fare delle scelte calcolate, “alle volte bisogna saper osservare il terreno, ascoltarlo e comprendere”.

 

campo

Quest'anno invece, dopo la raccolta abbondante della scorsa campagna, c'è stato un inverno con poche piogge che ha comportato una scarsa riserva idrica alle piante. “Abbiamo deciso di effettuare una potatura più spinta per alleggerire gli alberi”, tutti tranne l'olivastra seggianese, “alla quale abbiamo lasciato una chioma abbondante, tagliando solo i polloni e gli elementi assurgenti che gli vanno a togliere energia. Speriamo che la pioggia arrivi presto. Confidiamo nei nostri alberi”.

 

Olive

Tutte le lavorazioni meccaniche, dalla concimazione alla trinciatura delle potature vengono svolte da Giorgio e il suo team, composto da circa 15 persone, mentre la parte della potatura – manuale - a tutti gli effetti è in mano a una squadra specializzata che lavora da tempo sul territorio. “Non riusciremmo a gestire tutti i terreni da soli. L'olio è un lavoro di squadra che richiede l'impegno di tante persone”. Prima e durante la raccolta, anche questa manuale con l'aiuto di piccoli agevolatori.

Il frantoio e l'importanza dell'esperienza

Una volta raccolte, le olive passano in frantoio. La macchina di Franci è una Pieralisi che lavora con 30 quintali di drupe l'ora. “L'impianto è molto flessibile e possiamo regolare le varie fasi di lavorazione a seconda delle necessità”. Ovvero?“Un bravo frantoiano è quello che ha esperienza. Solo il tempo può insegnare a gestire i macchinari e utilizzarli al meglio a seconda delle condizioni del frutto e del prodotto che si vuole ottenere”. Il frantoio lavora a due o tre fasi, “due nel caso dell'olivastra seggianese” che passa circa 30 minuti in gramola a una temperatura, “parametro fondamentale”, che si aggira attorno ai 26-27°C. Sono tante le accortezze che bisogna avere in questa fase: “È davvero difficile definire dei parametri standard e delle regole fisse. Quando si tratta di prodotti della natura, tutto è variabile”. Variabile sì, ma anche controllabile se si ha “un buon occhio per le olive”, dato, ancora una volta, dall'esperienza:“Basta uno sguardo per capire dove e come intervenire”.

 

Frantoio

Oltre ai tempi di gramolazione, variano anche quelli di frangitura e non solo: “Cambia la pezzatura della pasta delle olive, il settaggio del frangitore, la velocità di lavorazione”. Quest'ultima, per esempio, va modificata a seconda del grado di maturazione delle drupe, del loro livello di idratazione e del carico della pianta. E ogni fase è fondamentale: “È vero che il momento della frangitura è determinante per la formazione di aromi e profumi, ma è altrettanto vero che la gramolazione e tutto ciò che avviene dopo contribuisce a concludere l'intero processo”.

La vendita e la comunicazione

Un prodotto d'eccellenza, per essere apprezzato, deve essere comunicato al meglio. E l'olio non fa eccezione. “È importante far passare il concetto che l'extravergine è un elemento basilare per la nostra dieta e la cucina”. Un messaggio che, paradossalmente, arriva in maniera più immediata all'estero che in Italia. “Vendiamo un po' ovunque, in particolare in Giappone, Cina, Corea, Norvegia, Svezia e gran parte del Nord Europa”. E nel Belpaese? “Fortunatamente, l'attenzione dei consumatori italiani sta crescendo, grazie soprattutto alle guide specializzate, l'editoria di settore e tutti i corsi di assaggio”. E non solo: “Anche i commercianti ricoprono un ruolo importante perché fanno da tramite fra produttore e consumatore”. Per questo gli oli di Franci sono disponibili presso diverse oleoteche e negozi specializzati, gli store di Eataly, La Rinascente e anche in qualche supermercato: “La gdo non va esclusa. I consumatori medi fanno la spesa al supermercato, dove deve essere possibile acquistare anche un prodotto buono”. Passo fondamentale per comunicare in maniera semplice e diretta è poi l'assaggio, “nel punto vendita aziendale mostriamo sempre ai clienti come degustare l'olio”.

L'olio nella ristorazione

Un altro modo per arrivare ai consumatori è quello di entrare nel settore della ristorazione, che però fatica ancora a comprendere il ruolo dell'extravergine a tavola. “Mi capita spesso di andare in ottimi locali dove servono materie prime eccellenti, condite poi con oli di pessima qualità”. Nonostante le difficoltà, l'olio buono sta gradualmente iniziando a destare l'attenzione degli chef. “Vendiamo a diversi ristoranti, in Toscana e anche in altre regioni e paesi, molti locali gourmet ma anche trattorie tradizionali. Quello che conta è che seguano la nostra stessa filosofia incentrata sulla ricerca”.

Gli abbinamenti

Parlando di olio nei ristoranti, non si può trascendere dal tema dell'abbinamento. “Tempo fa abbiamo organizzato una degustazione di diversi monocultivar di frantoio”, stessa varietà declinata in modi diversi,“e ognuno di questi aveva caratteristiche specifiche che si prestavano a piatti differenti”. Per cui il tipo di cultivar conta ma non è l'unico parametro da tenere in considerazione: “Bisogna ricordarsi sempre che non si sta abbinando una varietà ma una bottiglia, un olio di un particolare produttore realizzato secondo certi parametri e in una determinata annata”. L'anno seguente, la stessa etichetta potrebbe essere più indicata su piatti diversi e così via. “Come sempre, è importante sapere assaggiare”.

 

Degustazione

E la degustazione è proprio ciò su cui Giorgio vuole puntare: “Abbiamo intenzione di ampliarci un po'. Vogliamo creare uno spazio più grande dove organizzare cene a tema, incontri, seminari, eventi e tante degustazioni, oltre a dei tour guidati in azienda e in frantoio”. L'obiettivo? “Sempre lo stesso”. Quell'unico scopo con cui da anni l'olivicoltore porta avanti il suo lavoro con impegno e sacrificio, con fatica e passione, senza sosta e senza mai perdere l'entusiasmo. Lo stesso che 22 anni fa lo ha spinto a prendere in mano le redini delle attività e iniziare questo percorso:“Diffondere la cultura dell'extravergine di qualità”.

Frantoio Franci | Castel del Piano (GR) | via A. Grandi, 5 | tel. 05 64954000 | www.frantoiofranci.it

a cura di Michela Becchi

Per acquistare la guida clicca qui

Guida Oli d'Italia 2017. Ecco tutti i premi speciali

Oli d'Italia 2017. Azienda dell'anno: Agrestis di Buccheri

Oli d'Italia 2017. Frantoio dell'anno: Nicolangelo Marsicani di Morigerati

Oli d'Italia 2017. Miglior monocultivar: Doria di Cassano Allo Ionio 

Olio extravergine di oliva. Glossario essenziale per conoscere l'oro verde

Il debutto di Care's a Salina, tra escursioni e foraging

$
0
0

Ancora una volta, dopo l’invernata in Alta Badia, 18 chef da tutto il mondo si incontrano per scambiarsi e raccontare la loro scelta etica in cucina. Ecco come è andata la prima giornata di Care's a Salina. 

A Salina si parlerà per i prossimi tre giorni di etica e sostenibilità, non solo in cucina, ma allargando lo sguardo a nuovi orizzonti, e declinando il tutto in tre tematiche principali: terra, mare, energia (qui il programma). Con il coinvolgimento di diciotto chef, internazionali e italiani, a iniziare da chi vive a Salina, come Martina Caruso dell’hotel Signum e Ludovico De Vivo del Capofaro Resort. Tutti per portare il proprio contributo alla causa etica che ci chiama a impegnarci per un futuro migliore. Durante la prima giornata di Care's si è parlato di foraging.

Il foraging

È la tendenza delle cucina e della gastronomia mondiale, che in poco tempo si è affermata nel mondo, anche grazie a René Redzepi e al Noma. In poche parole indica la raccolta di erbe e frutti selvatici spontanei per utilizzarli in cucina. Nessuna novità: fino agli '60 costituiva uno dei metodi di approvvigionamento alimentare più diffuso. Anche a Salina. Ce lo racconta la guida Emanuele Bottari, che ci accompagna lungo il sentiero che porta da Malfa a Lingua, un piccolo borgo caratterizzato dalla spiaggia di ciottoli formata da una colata lavica. D'altra parte a Salina si sopravviveva con la terra, quindi con l'agricoltura e la raccolta: per gli eoliani il mare è pericoloso. “Solo a Lipari c'è una comunità di pescatori ma sono catanesi, quindi della terra ferma”. E in generale sono pochi gli animali, perché qui mancano cibo e acqua per la maggior parte di loro. “Il verde dell'isola è dovuto solo all'acqua piovana e alle rocce laviche porose che fungono da spugna e raccolgono (o custodiscono per i periodi critici) l'acqua”. Ma veniamo alle erbe che abbiamo incontrato lungo il tragitto, dal finocchietto alla nepitella, dall'asparago selvatico alla pulicara, “usata per tenere lontani gli insetti, ma anche come cerotto naturale, o in casa per pulire gli angoli dalla polvere e, bruciata, per eliminare gli odori dai forni”. E poi c'è il sedano selvatico, “un mistero il fatto che sia stato abbandonato per quello dell'orto. La causa probabilmente è stata lo spopolamento, che ha vissuto un picco dopo il caso fillossera, arrivata con un ritardo di circa dieci, quindici anni rispetto al resto d'Europa, che poi ha creato un disastro. All'epoca gli eoliani erano ricchissimi perché erano gli unici in Europa a fare l'olio e il vino”. Dopodiché in molti si sono trasferiti, soprattutto in Australia “a Melbourne ci sono 25000 eoliani. Pensate che in ogni casa, qui, c'è l'immagine della Sidney Opera House!”.

Protagonisti immancabili di questa escursione all'insegna del foraging, i capperi, piante ermafrodite il cui fiore bellissimo è chiamato orchidea delle isole Eolie, il cui frutto è il cucuncio, che bisogna staccare altrimenti la pianta non rifiorisce. “Era un lavoro di famiglia, dopo scuola si andava con la nonna a raccogliere i capperi e i cuncuncili, purtroppo si sta perdendo tutto questo perché difficilmente le famiglie che hanno i cappereti assumono persone per fare questo lavoro”. Eppure è una pianta bellissima, simbolo e vanto di Salina.

Lo sgombro a beccafico di Martina Caruso

I primi assaggi

Il territorio siculo (e i capperi) entrano prepotenti negli assaggi della giornata inaugurale di Care’s, tra la cena di benvenuto al Resort Capofaro e il pranzo all’Hotel Ravesi di Malfa. La prima tappa, sulla strada per Care’s, è animata dalla cucina del patron di casa Ludovico De Vivo (Capofaro Malvasia & Resort, Malfa), Giuseppe Biuso (Il Cappero, Lipari), Accursio Capraro (Ristorante Accursio, Modica), Martina Caruso (Hotel Signum, Malfa), Nino Graziano (fino al 2004 alla guida de Il Mulinazzo alle porte di Palermo, oggi a Mosca ha fondato un impero alla guida della catena l'Accademia e patron de La Bottega Siciliana, ed è da poco approdato a Roma, in pieno centro città, con un bistrot d'autore da 40 coperti) Tony Lo Coco (I Pupi, Bagheria), Massimo Mantarro (Principe Cerami, Taormina) e Giovanni Santoro (Shalai, Linguaglossa). Gli assaggi che ci hanno convinto di più sono quelli di Montanari, la Tipica ghiotta di pesce stocco alla messinese, quello di Capraro, Pane&Cipolla, e il tiramisù fatto anche con i capperi del patron di casa. Buonissimo.

Il cous cous dolce di Corrado Assenza

Ma l’orgoglio di questa regione d’Italia, così ricca di storia, brilla nuovamente nel pranzo dell'indomani, con lo Sgombro a beccafico di Martina Caruso, Memoria Visiva (ovvero tonno alalunga, con aglio e prezzemolo che evocano il mare, sale e semi di limone) di Pino Cuttaia e il cous cous dolce di Corrado Assenza dove la presenza di ananas e mela non stona affatto, grazie alla preponderanza delle mandorle, quelle di Noto, e delle scorze d'arancia. È la rivincita del territorio.

 

Care’s | Salina | dal 21 al 24 maggio | www.care-s.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Morto Felice Marino. Partigiano a mugnaio, alla guida di Mulino Marino dagli anni Cinquanta

$
0
0

Aveva 94 anni, Felice Marino, più di 50 trascorsi tra le macine (rigorosamente in pietra) del mulino acquistato alla metà degli anni Cinquanta a Cossano Belbo, alla fine della guerra, dove aveva combattuto con coraggio da comandante della seconda compagnia della Brigata Belbo. Ma la sua fama, e quella della sua famiglia, oggi è legata soprattutto alla produzione di farine biologiche, esportate in tutto il mondo.

Da partigiano a mugnaio

Nonno Felice, semplicemente, lo chiama Gabriele Bonci ricordando affettuosamente Felice Marino a poche ora dalla sua scomparsa. E già, sulla pagina Facebook del panificatore romano, campeggia la foto di quel signore gentile, la tempra di un uomo d’altri tempi, che durante la guerra fondò la seconda compagnia della Brigata Belbo, e più tardi, verso la metà degli anni Cinquanta, riportava in attività un vecchio mulino acquistato a Cossano Belbo, nel cuneese, dove tutti lo ricorderanno per sempre come comandante partigiano. Ma pure come “mugnaio etico”, per dirla sempre con le parole di Bonci, in riferimento all’azienda produttrice di farine che oggi è gestita dai figli Ferdinando e Flavio, con i nipoti Fausto, Fulvio e Federico (sette effe in tutto, inclusa la farina, come il nome di una delle miscele del mulino, ai sette cereali). Si spegne a 94 anni, Felice, dopo una vita intensa e i giorni sul campo di battaglia, in trincea, di cui restava vivo il ricordo, tra imboscate, fucilazioni e rastrellamenti. Quando la guerra cessò, insieme a sua moglie, Felice si mise a produrre farina (prima faceva il commerciante di bestiame), rilevando il mulino per la macinazione a pietra naturale e a cilindri.

Il successo di Mulino Marino

E sulla macinazione a pietra naturale, Mulino Marino costruirà la sua fortuna, di contro alla diffusione di quel mulino a cilindri che all’epoca era simbolo di modernità, e piaceva ai panificatori per la facilità di lavorazione. E invece, in casa Marino, l’obiettivo è sempre stato quello di preservare la semplicità del prodotto, macinando a pietra cereali antichi provenienti da coltivazione biologica: “I contadini erano un po’ diffidenti all’inizio” ricordava in un’intervista di qualche anno fa Felice Marino, ma le analisi del grano locale avevano restituito chiara e forte l’immagine di coltivazioni afflitte dai diserbanti, “veleno per noi”, ed era necessario che qualcuno invertisse la rotta. E la passione per il mestiere, a Cossano Belbo, si tramanda di padre in figlio, insieme al segreto fondamentale di un buon mugnaio: “battere la pietra” (la cosiddetta martellatura per ravvivare la pietra francese delle macine). Mentre il Mulino Marino esporta farine in tutto il mondo, con la garanzia che il grano utilizzato sia prima sottoposto a controlli rigorosi.

L’addio a Felice arriva a poche ore dalla celebrazione della Festa degli In, “incantesimi di sapori, storia e cultura”, che come ogni anno ha gremito il paese e il cortile del Mulino di produttori e prodotti dell’eccellenza enogastronomica (con la partecipazione di Gabriele Bonci). Mentre in ricordo di Nonno Felice, proprio al Mulino si reciterà il Rosario, prima dei funerali in programma per la giornata di mercoledì 24 presso la chiesa parrocchiale di Cossano Belbo.

 

a cura di Livia Montagnoli

Estate fiorentina al “giardino” della pizza della Buoneria. O sulla terrazza del Plaza Lucchesi con gli sfizi di Simone Cipriani

$
0
0

Tante proposte per trascorrere le sere d'estate all'aperto, nel verde del Parco delle Cascine con le pizze di Antonio Starita, o al tramonto, con vista mozzafiato sulla città, dalla terrazza dell'hotel Plaza Lucchesi, che fino a luglio incrocia le cucine di Essenziale e della Tenda Rossa. 

L'estate fiorentina. Proposte gastronomiche

L'estate si avvicina a grandi passi, e a Firenze si cerca refrigerio lungo l'Arno o sulle terrazze con vista sulla città. Già da qualche settimana è partita la proposta di Molo5 sul Lungarno Colombo, che fino alla metà di settembre riunirà in un unico spazio all'aperto lo street food e i cocktail di cinque realtà ben note in città: il lampredotto di Lorenzo Nigro, la cucina giapponese di Koto Ramen, la pizza bio di Simbiosi, i panini di pesce del Polpaio e i drink del bar Rex. Poco più in là, verso il Lungarno del Tempio, la cittadella estiva de La Toraia replica il successo dell'anno scorso, ogni giorno dall'ora di pranzo fino alla mezzanotte, in compagnia di Panino Tondo, Pesce Pane e i gelati di Carapina. Ma la vera novità dell'estate 2017 promette di metterla a segno un'insegna tra le più giovani arrivate a movimentare il panorama gastronomico cittadino, la Buoneria, con l'inaugurazione di un giardino della pizza circondato dal verde del Parco delle Cascine (non distante dalla stazione di Santa Maria Novella).

Il parco della pizza della Buoneria

La pizzeria inaugurata lo scorso marzo al Fosso Bandito porta la firma di un campione della pizza napoletana del calibro di Antonio Starita, arrivato a rivitalizzare un'insegna già esistente, in nome della verace pizza napoletana, sulla scia del successo fiorentino di Giovanni Santarpia. Così, da qualche mese, il metodo Starita ha conquistato fiorentini e turisti, con la proposta di una quindicina di pizze tradizionali e stagionali – dalla Margherita alla marinara rivisitata con pecorino, alla bianca con provola e pomodorino giallo del Piennolo, cornicione alto e impasto leggero - e qualche sfizio fritto alla partenopea, zeppole ripiene e montanarine della famiglia Tutino. E in cucina lo chef Francesco Morra per i piatti del giorno, di mare e terra. Consolidata l'attività quotidiana, tra qualche giorno la Buoneria si appresta a raddoppiare gli sforzi con “il più grande spazio italiano dedicato alla pizza”, si legge sulla nota introduttiva all'evento. In poche parole una piazza all'aperto al Fosso Bandito numero 4 con quattro forni Valoriani che lavoreranno all'unisono per sfornare quattro differenti tipologie di pizza, dalla verace napoletana a quella sottile alla romana, fino alla pizza a taglio alla pala. E prima la mitica montanara di Starita a Materdei. Gli ingredienti, come da consuetudine della casa, arrivano in gran parte dal circuito campano di qualità: la Latteria Sorrentina per la mozzarella e i formaggi, le farine del Molino San Felice, i pomodori La Carmela, in abbinamento ai prodotti di filiera corta e del territorio toscano. Ma il giardino della Buoneria alle Cascine sarà aperto anche all'intrattenimento serale, con il calendario musicale delle Sere d'Estate, dal tramonto fino alla mezzanotte. In programma l'arrivo di grandi ospiti della scena musicale italiana e internazionale, dal rock al jazz, all'elettronica. Di fatto, lo spazio di Sere d'Estate diventerà porta d'accesso all'area di Firenze Rock. E c'è da scommettere che pochi sapranno resistere al richiamo di una pizza appena sfornata sotto le stelle. Aperitivi e cocktail after dinner compresi.

Essenziale e Tenda Rossa all'Empireo Sunset Experience

Tutt'altra atmosfera, dal tramonto, su una delle terrazze più ambite della città - l'Empireo Sunset Experience - che l'Hotel Plaza Lucchesi mette a disposizione degli ospiti e dei clienti in arrivo dall'esterno, per godere di una vista mozzafiato sulla città. L'offerta gastronomica per l'estate in terrazza si avvarrà della collaborazione fra la Tenda Rossa ed Essenziale, Maria Probst Simone Cipriani.

Ogni domenica, fino alla fine di giugno, il giovane chef che ha trovato la sua dimensione (molto apprezzata) al numero 3 di piazza del Cestello, proporrà un aperitivo in Food Box con snack e sfizi estratti dal menu Fast and Casual di Essenziale (sette stuzzichini assemblabili a piacere), in abbinamento a un cocktail a scelta tra signature del barman Enrico Cascella. Mentre la Tenda Rossa curerà due appuntamenti più articolati, il 22 giugno e il 13 luglio, con Cena al Sacco concertata dalla squadra di Cerbaia.

 

La Buoneria | Firenze | via del Fosso macinante, 4 | dal 25 maggio | tel. 055 365500 | www.buoneria.com

Empireo Sunset Experience | Firenze | Hotel Plaza Lucchesi, terrazza Empireo, lungarno della Zecca Vecchia, 38 | dalle 19 alle 24 | tel. 055 26236

 

a cura di Livia Montagnoli

Viewing all 4936 articles
Browse latest View live